17 luglio 2007
Messa tridentina: le critiche ed i dubbi di don Manlio Sodi
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Intervista a don Manlio Sodi, docente di Liturgia, Sacramentaria e Omiletica
ROMA, lunedì, 16 luglio 2007 (ZENIT.org).- Raramente un documento pontificio ha avuto tanta eco quanto il “Motu proprio” Summorum Pontificum di Benedetto XVI. La campagna mediatica ha trasformato la problematica sottesa in una crociata (pro vel contra) per la lingua latina e per la celebrazione della Messa secondo il rito tridentino senza cogliere, in genere, il vero aspetto del problema.
Per mettere in luce gli aspetti particolari che ruotano attorno al “Motu proprio” ZENIT ha interpellato il professor don Manlio Sodi.
Don Sodi è docente ordinario di Liturgia, Sacramentaria e Omiletica nell’Università Pontificia Salesiana di Roma (www.unisal.it), è direttore di “Rivista Liturgica” (www.rivistaliturgica.it), ha fondato e diretto la collana “Monumenta Liturgica Concilii Tridentini” e ora dirige la collana “Monumenta Studia Instrumenta Liturgica” (48 volumi finora) edita dalla Libreria Editrice Vaticana (diffusione@lev.va).
Perché tante polemiche in merito al “Motu proprio” Summorum Pontificum?
Sodi: Quanto si è scatenato attorno al “Motu proprio” è la conclusione di una campagna di illazioni e di fughe di notizie, ma anche di desideri espressi e timori fondati, che a forza di apparire sui giornali e sul web hanno trovato la loro sintesi al momento della pubblicazione dei documenti. Se in parte ne era previsto il contenuto, dall’altra non si poteva immaginare un dispositivo che ha lasciato per lo meno sorpresi coloro che da circa 40 anni stanno seguendo la linea di riforma e di rinnovamento liturgico prospettata dai Padri conciliari del Vaticano II. Alcune polemiche non hanno colto l’obiettivo; altre risultano fondate. Ci vorrà del tempo per calmare le acque e soprattutto per mettere un po’ di ordine su vari aspetti della problematica (più complessa di quanto non sembri ad un primo sguardo).
Secondo lei, risulta chiaro il punto di partenza che anima il documento?
Sodi: Siamo tutti interessati al nobile tentativo intrapreso da Papa Benedetto XVI per riportare pace e unità nella Chiesa cattolica anche in campo liturgico. La storia recente ci ha posto dinanzi ad una lacerazione del tessuto ecclesiale quale si è perpetrata attraverso la non accettazione di una linea conciliare e in particolare di alcuni documenti del Vaticano II. Se mi è permesso di usare un’espressione forse troppo semplice, posso dire che la liturgia è la vittima di un qualcosa di più profondo e radicale quale può essere l’accettazione o meno di una linea di azione pastorale e prima ancora di una visione ecclesiale qual è quella emersa in alcuni documenti votati da un Concilio ecumenico qual è stato il Vaticano II!
Più volte si è sentito accennare ad una discontinuità o quasi ad una rottura tra i due Messali, quello di Trento e quello del Vaticano II. Nulla di più impreciso quando si conoscono i contenuti dei testi e le modalità con cui è stata fatta la riforma liturgica! È facile verificare, infatti, che quasi tutto ciò che si trova nel Messale di Trento è presente in quello del Vaticano II; solo che questo è molto più ricco e meglio organizzato di quello. Nel primo, per esempio, l’anno liturgico era fortemente imperniato attorno ai mesi (si pensi quindi allo sviluppo dei “mesi devozionali”) e non ai tempi liturgici, con sovrapposizioni che non permettevano un’adeguata comprensione della pedagogia (e teologia) dell’anno liturgico. La presenza di due Calendari, come di fatto ora si prospetta, crea una confusione enorme se si parte dal concetto di liturgia considerata, celebrata e soprattutto vissuta come l’itinerario di fede e di vita del popolo cristiano.
Che cosa cambia nella liturgia della Chiesa?
Sodi: I documenti – e parlo al plurale perché siamo di fronte a tre testi: il “Motu proprio”, la Lettera ai Vescovi e la scheda informativa (non ufficiale) – evidenziano numerosi cambiamenti. Inutile ripeterli qui; i testi sono conosciuti. Ci sono però alcuni indicatori che vanno evidenziati, perché non è una questione di cambiamento di una ritualità. Non si tratta della sostituzione di un Messale con un altro, posti in contrapposizione, perché in tutta questa diatriba la liturgia è assunta come l’elemento per accogliere o meno una linea conciliare.
In particolare vedo almeno tre ambiti problematici che interpellano il tessuto vitale delle Chiese di Rito romano:
– Il primo aspetto da chiarire è relativo alla lingua latina. Il latino non è legato al Messale di san Pio V o del beato Giovanni XXIII. La liturgia romana ha nel latino la sua lingua ufficiale, per cui anche il Messale di Paolo VI (1970 e 1975) e di Giovanni Paolo II (2002) è in latino; il rapporto tra latino e Messale non ha un legame solo con la precedente liturgia. La nostalgia del latino o l’affetto per il canto gregoriano di per sé non sono motivi validi per abbandonare la messa postconciliare, che può essere – e di fatto è celebrata – anche in latino e con musica gregoriana.
– Il secondo aspetto è relativo al Lezionario. Il ritorno al Messale tridentino implica automaticamente la chiusura di fronte a quanto il Concilio aveva espressamente richiesto, cioè di aprire con maggior abbondanza la mensa della Parola di Dio ai fedeli. Con il Messale del 1962 viene meno tutta la ricchezza dell’attuale Lezionario; di conseguenza ne risente la predicazione, la spiritualità, la catechesi e la pastorale in genere.
– Il terzo aspetto tocca altri elementi come l'abbandono della preghiera dei fedeli, la rinuncia a testi stupendi recuperati dalla più antica tradizione, e soprattutto il ritorno all’unicità della preghiera eucaristica, al Canone romano, venerando per antichità, ma non come l’attuale preghiera eucaristica II. Anche questi sono piccoli tesori di cui saranno privati coloro che si rivolgeranno esclusivamente al Messale del 1962. Sono preoccupazioni che possono sembrare esagerate; si tratta di timori molto presenti tra gli esperti di liturgia; timori che nel cambio di ritualità presagiscono un ripiegamento su una visione di liturgia che il Vaticano II aveva stabilito di superare.
Alcuni sostengono che con questo “Motu proprio” si scredita la riforma liturgica di Paolo VI. Qual è il suo parere in proposito?
Sodi: Non voglio identificarmi con il termine “discredito” perché stiamo parlando della voce della Chiesa che è sempre nostra Madre, di tutti. Di fatto, però, l’operazione se non è ben gestita costituisce un vulnus alla riforma liturgica del Vaticano II. Preciso che gestire tutto quanto è stato architettato implica una serie di attenzioni, di risvolti giuridici, di conseguenze teologiche, di prospettive formative di cui intravedo più difficoltà che soluzioni ai fini di un’autentica esperienza liturgica (si pensi al diaframma della lingua, per esempio!).
È vero che il problema tocca solo alcuni gruppi, e quindi per la maggior parte delle persone che frequentano regolarmente la parrocchia non ci sono (e non danno) problemi simili. Chi ha accolto la liturgia rinnovata non sente il bisogno di tornare a pregare e, prima ancora, ad ascoltare la Parola di Dio in una lingua che non conosce (da secoli!).
Ma è la gestione di queste situazioni singole o di gruppi di persone che si fa problematica. Mentre prima, con l’Indulto di Giovanni Paolo II il referente unico era il vescovo – «il grande sacerdote del suo gregge» (SC 41) –, ora la situazione si sposta sulla responsabilità del parroco, con conseguenze non facilmente immaginabili. La campagna mediatica ha creato una confusione unica nell’immaginario collettivo: nella maggior parte dei casi la gente crede che tutto ruoti attorno al ritorno della messa in lingua latina!
Si parla tanto di liturgia ma si ha l’impressione che dietro a questo termine ci sia tanto interesse ed un po’ di confusione. Lei cosa ne pensa?
Sodi: Abbiamo da poco celebrato il 40° del Vaticano II; anzi già si comincia ad intravedere il 50° della Sacrosanctum Concilium nel 2013. Dubito che la conoscenza di questo documento sia pacificamente acquisita da parte di chi parla di liturgia. Fin dal n. 1 i Padri affermano che «il sacro Concilio si propone di ... adattare alle esigenze del nostro tempo quelle istituzioni che sono soggette a mutamenti ... Ritiene quindi di doversi interessare in modo speciale anche della riforma e dell’incremento della Liturgia». Ed è in questa linea che il Concilio richiama i “principi” e stabilisce le “norme per attuarli” (n. 3). Da qui si muove poi il concetto di liturgia che viene definita – dopo un percorso biblico-teologico-liturgico (cf nn. 5-7) – come «l’esercizio del sacerdozio di Gesù Cristo; in essa per mezzo di segni sensibili viene significata e in modo ad essi proprio realizzata la santificazione dell’uomo...» (n. 7).
Sono i principi – ma il documento conciliare ne individua altri ancora, tutti comunque incentrati attorno alla sfida della partecipazione attiva (cf n. 48) – sui quali poi il Concilio inserisce una volontà di riforma: «L’ordinamento rituale della Messa sia riveduto...» (n. 50); «... vengano aperti più largamente i tesori della Bibbia...» (n. 51); «... l’omelia... è parte della stessa azione liturgica...» (n. 52); «sia ripristinata... l’orazione comune...» (n. 53); «venga redatto un nuovo rito della concelebrazione...» (n. 58). Si potrebbe continuare per tutti gli altri sacramenti e sacramentali. Di fronte a ogni disposizione conciliare come leggere il nuovo dispositivo giuridico che permette l’uso di ciò che il Concilio stesso ha chiesto di cambiare?
Era proprio necessario questo intervento magisteriale per tornare alla Messa in latino?
Sodi: Chi conosce la liturgia della Chiesa, sia nella sua storia sia nella sua forma attuale, dovrebbe sapere che il Rito romano si esprime sempre nella sua lingua originaria e costante (da ben 16 secoli) che è il latino. Tutti i libri della riforma liturgica sono in latino. Anche il Missale del Concilio Vaticano II è in latino, sia quello di Paolo VI (1970) che quello di Giovanni Paolo II (2002). Ogni volta che è possibile si può celebrare in lingua latina; basti entrare in cattedrali o in basiliche e si vede che almeno in domenica una celebrazione avviene in latino e spesso in canto gregoriano. In questi luoghi spesso anche la celebrazione della Liturgia delle Ore è in lingua latina, almeno con il canto dell’inno e delle antifone!
Tutto questo può sollecitare un ritorno, e non solo di fiamma, per la lingua latina e per quasi due millenni di cultura (non solo cristiana) espressa in questa lingua?
Sodi: Non sarà un “Motu proprio” a far rinascere l’amore alla lingua latina, come non è stato sufficiente a suo tempo la Costituzione apostolica Veterum sapientia a rimotivare lo studio della lingua che ha caratterizzato e continua a caratterizzare la voce della Chiesa latina. La progressiva scomparsa del latino da molti programmi istituzionali della cultura degli Stati ha provocato un impoverimento anche nei seminari e nelle facoltà teologiche.Le conseguenze sono gravissime per la cultura in genere, anche laica, e per quella ecclesiastica in particolare. Quella laica deve fare più difficoltà a ritrovare le “matrici” delle lingue nazionali che soprattutto in Europa e in America Latina hanno nel latino (e nel greco) le più diffuse radici, a cominciare dalla lingua inglese! Quella ecclesiastica trova racchiusi nella lingua latina tutti i tesori del suo patrimonio culturale, dalle opere dei Padri della Chiesa alle traduzioni della Bibbia che hanno poi positivamente influenzato numerose altre composizioni come gli inni, le antifone, le orazioni, ecc.
Una soluzione per rimediare a tutto questo consisterebbe nel mettere come condizione per lo studio della teologia la conoscenza della lingua latina in modo da saper almeno interpretare i testi. Ma mi sembra un’ipotesi la cui soluzione appare molto lontana.
Nelle intenzioni del Santo Padre il “Motu proprio” potrebbe convincere la Comunità di San Pio X a rientrare nella Chiesa. Che ne pensa?
Sodi: Il rapporto tra il “Motu proprio” e la Comunità di San Pio X non è direttamente legato alla liturgia. Come sopra accennato, il problema si pone altrove. Tanto sforzo per trarre fuori dalle biblioteche gli antichi libri liturgici appare un’operazione che può fiancheggiare un rientro.
Ma dopo? È possibile il permanere di due forme di celebrazione nello stesso Rito? Come leggere queste diverse forme celebrative alla luce di quanto si afferma in SC 41: «... la principale manifestazione della Chiesa si ha nella partecipazione piena e attiva di tutto il popolo santo di Dio alle medesime celebrazioni liturgiche, soprattutto alla medesima eucaristia, alla medesima preghiera, al medesimo altare cui presiede il vescovo circondato dal suo presbiterio e dai ministri»?
Dopo circa quarant’anni, è difficile per molti giovani sacerdoti celebrare con un rito di cui non hanno conoscenza e in una lingua quasi per nulla praticata. La sollecitudine del Santo Padre porterà i giovani a studiare di più il latino e la liturgia?
Sodi: Per il latino ho già detto sopra. E per la liturgia? Il Concilio aveva detto chiaramente che la liturgia deve essere computata tra le materie principali. Perché? I Padri avevano compreso, attraverso i dibattiti relativi alla Sacrosanctum Concilium, alla Dei Verbum, alla Lumen Gentium e all’Optatam Totius, che la liturgia è il linguaggio per esprimere la fede della Chiesa, anzi essa «è il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e, insieme, la fonte da cui promana tutto il suo vigore» (SC 10). Se non si entra all’interno di questo linguaggio (costituito dalla Parola di Dio, dall’eucologia e dalla ritualità) non si comprende il senso dei riti. Ecco perché si deve dare spazio per presentare la liturgia non come una cerimonia da compiere ma come un insieme di linguaggi che aiutano a fare esperienza del mistero della Pasqua di Gesù Cristo.
Viene allora da domandarsi: al di là dello spazio concesso al docente di liturgia, quale preparazione per i docenti è assicurata? Quale rapporto tra le discipline teologiche sulla linea di Optatam totius 16? E ancora: quale obbedienza ai contenuti e alle disposizioni della Chiesa è attuata? Bisogna riconoscere che i documenti offrono percorsi formativi adeguati, ma quanti celebrano dimenticando che la liturgia è opera della Chiesa e che non può essere “interpretata” secondo proprie fantasie o all’insegna di improvvisazioni? Se percepiamo tante lamentele è perché troppo spesso l’azione liturgica è “gestita” non all’insegna di quel signum unitatis che invece dovrebbe continuamente richiamare.
La celebrazione con il vecchio rito porterà più gente a partecipare alla Messa domenicale?
Sodi: No. Al di là di qualche sporadica curiosità, non facciamoci illusioni. Il cosiddetto vecchio rito continuerà a fare un po’ di rumore, ma nulla più. La vita delle parrocchie non sarà turbata perché la gente si è abituata ad ascoltare la Parola di Dio in lingua viva, a pregarla con il salmo responsoriale (assente nel vecchio rito!), ad accoglierla in un’omelia strettamente dipendente dalle letture e dal mistero che si celebra (e non una predicazione qualunque, e magari “a temi”, dimenticando così la tematica del Lezionario!), a trasformarla in preghiera con l’oratio fidelium (assente nel vecchio rito!), a seguire la preghiera eucaristica come momento per educare al mistero... mentre se ne fa esperienza viva (e non solo sentimentale).
Se tutto questo può offrire uno stimolo per la vita liturgica (e non solo) delle parrocchie, lo vedrei in un invito ad una maggiore cura nella preparazione delle celebrazioni, nella presidenza dell’azione liturgica, nella scelta dei canti (compresa la valorizzazione di alcuni in latino, spesso conosciuti ma poco valorizzati), nell’attenzione ai segni e ai simboli, nel rispetto del luogo sacro come spazio di dialogo con Dio, di preghiera personale...
I documenti ci pongono di fronte a nuove prospettive istituzionali e di responsabilità nella formazione?
Sodi: Le prospettive manifestate nel Summorum Pontificum non sono nuove nella prima parte; nuove sono le interpretazioni storiche, soprattutto per quanto si afferma a proposito di Pio V e Paolo VI (di fatto le due riforme liturgiche non sono state fatte esclusivamente da loro), e per le responsabilità che si delineano in affido all’Ecclesia Dei che con questo documento acquista una maggiore visibilità e una più forte autonomia rispetto alla Congregazione predisposta al Culto divino e alla disciplina dei Sacramenti.
Intravedo problemi attorno a tutto questo perché non si tratta solo di rieditare i vecchi libri liturgici, ma di preparare i sacerdoti e i seminaristi a svolgere questo servizio. E come coordinare tutto questo? Saranno disponibili altri corsi di liturgia alternativa nei seminari? Oppure si prospetteranno dei master per una preparazione accelerata? La stampa ha già informato sulla disponibilità di DVD in commercio per educare a celebrare con vecchio rito: ma è una visualizzazione di ciò che è contenuto nel De defectibus in celebratione missae occurrentibus che può educare per formare l’assemblea ad una vera esperienza del Mistero?
Insisto però su un dato di fatto: chi toccherà la problematica teologica ed ecclesiologica che sottostà a tutto questo? È la teologia liturgica che attende di essere declinata e accolta – sulla linea della tradizione patristica – per una formazione integrale in cui la lex orandi (culto) costituisce l’anello di incontro tra lex credendi (fede) e lex vivendi (vita).
Si pensi poi a tutto ciò che riguarda l'aspetto normativo vero e proprio. Ciò che più risalta è l’attenzione che si sposta dalla responsabilità del vescovo a quella del parroco il quale è invitato ad accogliere volentieri le richieste dei fedeli, e insieme a provvedere che il bene di essi «si armonizzi con la cura pastorale ordinaria della parrocchia [...] evitando la discordia e favorendo l’unità di tutta la Chiesa» (art. 5). È un dispositivo che ha bisogno di essere letto con attenzione e che richiede una interpretazione, anche in vista di problemi che si intravedono sia in ordine alla celebrazione sia in ordine ad una pastorale e a una spiritualità. E' chiaro comunque che nessun sacerdote sarà obbligato a celebrare secondo il messale del 1962.
Passiamo ora alla Lettera di accompagnamento del Papa. Cosa l'ha più colpita?
Sodi: Innanzitutto la forte partecipazione personale del Papa a questa problematica. Inoltre mi ha colpito la distinzione che si fa tra forma ordinaria e forma straordinaria che caratterizza «un uso duplice dell’unico e medesimo Rito»; questo incide in una prassi che di fatto prende le mosse per la prima volta nella storia oggi. Mai è successo che uno stesso rito fosse celebrato con due forme diverse. Si tratta di una situazione nuova che sarà da valutare nella prassi; e speriamo che questi tre anni di sperimentazione siano sufficienti per valutare con oggettività i problemi (anche se alcuni hanno ricordato che il tempo delle “sperimentazioni” era stato chiuso da tempo).
Col “Motu proprio” tornano in vigore anche gli altri vecchi libri liturgici…
Sodi: Se ne elencano quattro: il Missale (ed. 1962), il Rituale (ed. 1952), il Pontificale (ed. 1961-1962) e il Breviarium (ed. 1962). Ma se ne dovranno aggiungere anche altri per completare l’orizzonte, e cioè il Martyrologium e il Caeremoniale episcoporum. La Lettera si premura di precisare: «... per vivere la piena comunione anche i sacerdoti delle Comunità aderenti all’uso antico non possono, in linea di principio, escludere la celebrazione secondo i libri nuovi». Questo è molto importante. Perché è un modo gentile, ma fermo, per far riconoscere da tutti, anche a coloro che hanno simpatie lefebvriane, che la Messa postconciliare è la Messa ordinaria della Chiesa cattolica di Rito romano, e non ci si può per principio rifiutare di celebrarla come se non fosse valida o peggio…
La riedizione di questi libri – personalmente ne curo una nella collana “Monumenta Liturgica Piana”, edita dalla Libreria Editrice Vaticana (diffusione@lev.va) – sarà un momento importante per verificarne i limiti rispetto agli attuali libri liturgici, e per apprezzare meglio la liturgia riformata secondo le indicazioni del Vaticano II.
Il Papa nella sua Lettera invoca anche una maggiore cura nelle celebrazioni liturgiche…
Sodi: Questo è molto importante. Dove la messa è celebrata con il dovuto decoro non ci saranno tentazioni di passare al rito “straordinario”. Speriamo che questo “Motu proprio” inciti tutti, fedeli e laici, ad una partecipazione attenta e rispettosa alla liturgia. Ma tutto questo sarà possibile a condizione che il responsabile della celebrazione agisca con la dovuta competenza e deontologia professionale! Ci sono ancora troppi “presidenti di assemblea” che non hanno mai letto né l’Introduzione al Messale né, peggio ancora, l’Introduzione al Lezionario. Come è possibile svolgere un servizio di educazione e formazione all’azione liturgica – e attraverso di essa – se non se ne conoscono i linguaggi e tutto ciò che è necessario per attivarli e farli “parlare” al cuore dei fedeli?
Per chi ha accolto senza pregiudizi e remore la riforma voluta dal Vaticano II questi ultimi documenti possono essere uno stimolo a continuare sulla linea della Chiesa, senza timori. Anche situazioni “negative” possono costituire un’autentica sfida ad andare oltre, a migliorare, a comprendere che il tessuto ecclesiale è costituito da tante realtà che richiedono talora tempo e generazioni per cogliere la via più idonea nella sequela Christi attraverso il linguaggio della celebrazione dei santi misteri.
In questi giorni sta arrivando in libreria un suo “instant book” sul Messale di Pio V: può anticipare qualcosa per i lettori di Zenit?
Sodi: Il volumetto di 48 pagine ha come sottotitolo: Perché la Messa in latino nel III millennio? come provocazione che l’editore (il Messaggero di Padova; ufficiostampa@santantonio.org) ha voluto mettere per sollecitare l’attenzione sulla problematica. Il breve testo si inserisce nella colluvie di interventi, per ora più di tipo giornalistico che altro, per offrire qualche iniziale utile precisazione. I quattro capitoletti trattano anzitutto del Messale per spiegare il genere di libro, visto che tutti i giornali ne hanno amplificato l’importanza. Per questo, in secondo luogo, era necessario offrire alcuni sommari accenni circa la storia di questo libro. Un terzo passaggio richiedeva di evidenziare le vere novità del Messale del Vaticano II. Il quarto, infine, è un invito a riflettere attorno all’interrogativo: Due forme per celebrare la stessa liturgia?
Comunque, ogni tipo di riflessione non potrà essere attuata con oggettività se non ci si confronta prima di tutto con il documento conciliare sulla Liturgia, la Sacrosanctum Concilium, e con la Costituzione apostolica di Paolo VI dal titolo Missale Romanum: un testo che si trova all’inizio di ogni Messale.
È il confronto con questo ampio documento, di importanza fondamentale, superiore ad un “Motu proprio”, che si può percepire meglio sia l’esigenza di conoscere meglio la storia, sia ciò che è stato operato con il nuovo Messale, sia il completo superamento del precedente Missale. Le parole con cui si conclude la Costituzione apostolica risuonano oggi più che mai eloquenti: «Quanto abbiamo qui stabilito e ordinato (statuta et praescripta) vogliamo che rimanga valido ed efficace (firma et efficacia), ora e in futuro, nonostante quanto vi possa essere di contrario nelle Costituzioni e negli Ordinamenti Apostolici dei nostri Predecessori e in altre disposizioni, anche degne di particolare menzione e deroga».
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20 commenti:
Vorrei pur dire qualcosa di sensato, ma l'articolo in questione vola un po' troppo alto per me.
Capisco le preoccupazioni di tipo organizativo per i parroci, quelle di tipo formativo nei seminari, capisco lo sconcerto di fronte a una novità che mette in crisi per alcuni delle certezze che avevano acquisito, almeno in questo caso di Don Sodi lo capisco perché è un docente di liturgia , è la sua vita. Apprezzo anche che tutto questo sia per lui comunque uno stimolo a porre attenzione alla messa moderna sulle cui realizzazioni ammette esserci parecchia confusione.
Quello che mi pare opinabile:
- la diffusione della messa con messale di Paolo VI in latino a me non risulta così estesa come pare credere l'autore che la vede ovunque; io ovunque non la vedo
- la richiesta di celebrare l'antico rito secondo il Motu proprio di GPII non ha impedito a molti vescovi di fumarsi tali richieste nella pipa e , comunque si vogliano giudicare queste persone richiedenti (e io non li considero dei minus habens) se ne trae la conclusione che questo Motu proprio è stato disatteso
- il presunto vulnus al Concilio che sembra essere la preoccupazione principale dell'autore bisogna metterlo vicino, per capire le intenzioni del Papa, ai tanti vulnus alla dignità della messa prodotti in questi anni, vulnus che ho visto con i miei occhi e che ho visto denunciare con molta parsimonia. Anzi certe tristezze sono state accettate nel silenzio dei più.
Credo sia meglio, quindi, rimboccarsi le maniche e anche con sensibilità diverse, cercare di raddrizzare la baracca.
Le ultime quattro righe, tratte dalla Costituzione apostolica e messe in questo contesto invece non mi piacciono affatto perché sembrano fornire un fondamento giuridico alla resistenza diciamo così, ma è possibilissimo che capisca fischi per fiaschi, vista la mia competenza in materia. Sarebbe un brutto precedente, anche per il futuro, vedere valenti studiosi stare svegli la notte per aggirare le disposizioni di pontefici regnanti, come degli Azzaccagarbugli. Coazione non c'è nel Motu proprio, quindi questa precisazione mi è suonata non leale.
L'elevata competenza
dell'intervistato gli fa fare considerazioni interessanti.
Parlare di "messa in latino" è sbagliato, concentrarsi sull'aspetto linguistico è fuorviante...
L'uso tridentino farà bene a molti sacerdoti ("presidenti d'assemblea") poco consapevoli...
Molte altre affermazioni sono discordanti dalla mente del Pontefice, per cui non ne parliamo...
Alcune infine, per un fedele che abbia esperienza dell'uso tridentino, sono inaccettabili.
La questione del lezionario:
le letture del ciclo liturgico tradizionale sono scelte secondo i criteri dei santi e devoti liturgisti dei secoli passati.
Entrare in sintonìa con la loro mentalità, comprendere il messaggio che ci hanno affidato è molto bello. Ogni messa può rivelare qualche segreto...
Poi la Parola di Dio è santificante, qualunque lezionario si segua.
Di parti della messa come il salmo responsoriale, la preghiera dei fedeli... l'uso tridentino non ne fa sentire la mancanza!!!
Comunque nessuno è obbligato ad assistervi...
(è stato detto molte volte... anf...anf..)
questa volta il no comment è d'obbligo per dire che è una esposizione perfetta (o quasi) delle situazioni problematiche e delle difficoltà che attendono la chiesa dopo la summorum pontificum
meditate, gente, meditate
francesco
come commento il suo mi sembra un po' magrolino, caro don Francesco.
Quanto a meditare la mia testa dura ha già provveduto ma oltre a quello che ho già scritto, altro non riesco a spremere.
E forse tanti come me.
O la materia è per iniziati?
Meditate gente, meditate, ha sentenziato don Francesco! E perché no, dico io?!? Quando una mente illuminata come don Manlio Sodi dice “La nostalgia del latino o l’affetto per il canto gregoriano di per sé non sono motivi validi per abbandonare la messa postconciliare, che può essere – e di fatto è celebrata – anche in latino e con musica gregoriana.” mi verrebbe da chiedergli – rispettosamente - se va a Messa, e se sì, dove…; ma quando poi afferma “Bisogna riconoscere che i documenti offrono percorsi formativi adeguati, ma quanti celebrano dimenticando che la liturgia è opera della Chiesa e che non può essere “interpretata” secondo proprie fantasie o all’insegna di improvvisazioni? Se percepiamo tante lamentele è perché troppo spesso l’azione liturgica è “gestita” non all’insegna di quel signum unitatis che invece dovrebbe continuamente richiamare.” mi verrebbe parimenti da chiedergli umilmente scusa per quanto ho indebitamente pensato! Cosa dire allora? Sinceramente non lo so. Meglio aspettare il 14 settembre!
A mio modo d vedere, don Sodi dice, usando toni soft, cose gravi, sia perchè pone in contrasto dialettico l'autorità del papa e quella del concilio ("Di fronte a ogni disposizione conciliare come leggere il nuovo dispositivo giuridico che permette l'uso di ciò che il Concilio stesso ha chiesto di cambiare?"), sia , perchè le disposizioni conciliari sulla liturgia, non potendo considerare il vecchio messale come eretico, sono mosse, evidentemente, da un intento pastorale, che può, legittimamente, essere cambiato dopo oltre quarant'anni.
Quale autorità ha don Sodi di stabilire quali siano le priorità in tal senso?
Per fortuna la Chiesa non è governata dai teologi, ma da chi ha il carisma per farlo.
Insomma anche per lui il Concilio è l’inizio di una nuova chiesa, e, anche qui siamo di fronte alla ricezione del concilio vaticano II in ossequio all'ermeneutica della discontinuità e della rottura, denunciate dal regnante pontefice, nel discorso alla curia romana del 22 dicembre 2005.
Ti dò manforte Charette sul fatto che la pastorale dopo quaranta anni è giusto che cambi direzione!!!
Innanzitutto, molti aspetti del messale di Paolo VI sono stati concepiti espressamente per favorire il dialogo ecumenico coi protestanti (per esempio la prex eucaristica 4, per tacere di altre cose...).
Ora, è stato osservato più volte dallo stesso Ratzinger che in molti paesi (ex. in certe zone della Germania) il protestantesimo
"si è dissolto", lasciando dietro di sè un tetro neopaganesimo...
Inoltre si è notato che certo ecumenismo rappresenta solo un abiura e una offesa alla Verità...
Poi, certa retorica sull'aspetto comunitario e comunicativo della celebrazione ha decisamente fatto il suo tempo...rimane una incrostazione storica dei tardi anni '60, ecco...
Si potrebbero aggiungere molte altre cose...
Mi piaciono i tuoi spunti:-)))
oltre alle questioni che avevo appuntate appena letto il documento, mi pare che sodi evidenzi un altro punto importante e che io mi son chiesto leggendo il messale romano del 1962: come armonizzare questa liturgia con la sacrosanctum concilium? perché è indubbio che un prete e una comunità che celebri con quel messale deve farlo nello spirito delle indicazioni pastorali del concilio e del post concilio... ora - oggettivamente - ci sono delle cose che vanno riviste... la voce che circolava su una revisione del messale del '62 alla luce dell'attuale pastorale liturgica della chiesa mi sembra una cosa da farsi prima o poi...
francesco
Cara Mariateresa pretendere un caommento più esaustivo si Don Francesco è quasi impossibile anche perchè riusuonerebbe più o meno così " erano le stesse preoccupazioni espresse già nei miei post " caro Giampaolo la stessa osservazione mossa da te nei confronti di Don Manlio Sodi è la stessa che vorrei fagli io....... perchè io di messe con canto gregoriano ed in latino seguendo il Messale post conciliare, attualmente, le ho sentite e viste celebrare esclusivamente in S. Pietro e dal Papa. nella mia povera e modesta Parrocchia, di co modesta per dire, mai al Parroco gli è venuto in mente di proporre un tale esperimento....... si va come dici tu a libera interpretazione con tutto quello che ne consegue compresa l'omelia supersonica perchè ne al parroco ne al vice- parroco, va di perdere tempo ad approfondire. Non c'è niente da fare è dai seminari che bisogna cominciare a cambiare secondo me perchè torno a dire, che il Prete non è un lavoro qualunque che si svolge perchè non avevo meglio da fare nella vita ma, è una missione che comporta delle difficoltà e l'obbedienza e la fedeltà al Papa cose che molto spesso, vengono ignorate!!!!!! Penso che allo stato attuale delle cose persino Paolo VI che ha riscritto il messale tutt'ora in uso sarebbe non dico disgustato ma, sicuramente contrariato dall'uso improprio che ne viene fatto. Basta parlare di messa in Latino e tutti i preti del 68 e giù di lì si inventano le cose peggiori dalla rottura con lo spirito del Concilio all'obiezione di coscenza!!!!!!! Povera barca di Pietro!!!!!!! Non a caso nella messa pro eligendo pontifice un certo cardinal Ratzinger parlò di false dottrine che buttano ora da una parte ora dall'altra la barca di Pietro !!!!!!!!!!!!!! Caro Giampaolo io spero con tutto il cuore che l'immenso lavoro di Benedetto XVI porti presto i suoi frutti e spero con il cuore che i sacerdoti tornino a fare i sacerdoti senza vergognarsi della cultura preconciliare della chiesa.
Cara Eugenia, non ho mai digerito certi modernismi, tant’è che più di trenta anni fa, alla mia domanda rivolta a un sacerdote sul cosa ci facessero chitarre e tamburi assordanti in chie..., ottenni come risposta che “oltre ad essere un segno del cambiamento dei tempi, era soprattutto un mezzo per attirare i giovani sempre più lontani dalla Santa Messa”. Allora mi venne spontaneo ribattere: e quando tutto ciò non sarà più un’attrattiva per questi giovani, cos’altro mai avrebbe fatto entrare in chiesa, forse le donnine…?!? Non ricordo bene quale fu la sua risposta, ma ricordo bene la sua espressione di stupore e incomprensione…! Ora mi chiedo, non è che questi maniaci del “progresso” e dell’ ”avanti sempre e a tutti i costi” pur di non smentirsi, continuino nella loro assurda marcia, anche sull’orlo di un precipizio?
Per quelli che leggono il francese:
"L'évêque de Clermont-Ferrand, qui ne passe pas pour « conservateur », vient de publier (dans Le Monde !) un article remarquable. Extraits :
« Depuis la parution du Motu proprio de Benoit XVI libéralisant la liturgie catholique, je suis souvent interrogé sur ce que vais faire. A chaque fois, je réponds de la même manière : « Quelle question ! Eh bien, je vais obéir, évidemment ! » Et je vais obéir pour deux raisons. La première, qui suffirait, parce que je suis évêque et que j'ai promis communion et obéissance au pape au jour de mon ordination. Si j'avais des raisons, en conscience, de ne pas obéir, je n'aurais qu'une chose à faire : présenter ma démission à Rome. Mais je n'ai pas de motif de conscience qui m'obligerait à démissionner et je ne vais pas abandonner mon peuple en rase campagne pour une question de rites liturgiques.... Ma seconde raison d'obéir tient à ceci : les effets de la décision du pape ne seront sans doute pas deux que toute la presse nous annonce... »
Et Mgr Simon, lisant objectivement le texte du Motu proprio, montre comment Benoît XVI – en rendant droit de cité au Missel de Jean XXIII - « ruine totalement » l'argumentaire lefebvriste anti-Vatican II.
Conclusion de l'article : « J'espère que les fidèles attachés au concile ne vont pas s'enferrer dans le fondamentalisme d'une prétendue ouverture à la modernité, qui ne serait que le symétrique du fondamentalisme d'une prétendue fidélité à la tradition. »
Car l'essentiel est ailleurs !
Que l'évêque de Clermont-Ferrand s'exprime ainsi est un signe des temps. Une page se tourne : à chacun d'en prendre conscience.
Preso dal Blog di Patrice de Punkett che consiglio a tutti coloro che leggono il francese !
Vedo ora che è stata aggiunta anche la seconda parte dell'intervista a don Sodi, e le cose che dice sono ancora più gravi, se possibile, di quelle pubblicate ieri. Non voglio entrare in merito su quanto dice riguardo al messale di Paolo VI, che, ripeto, è quello che per motivi anagrafici frequento da sempre, però non è possibile non rilevare che, come la bontà dell'albero si vede dai frutti, io vedo lo sfascio delle parrocchie, in primis in materia di fede, ma non solo.
E, considerata l'equazione "lex orandi=lex credendi", mi sembrano chiare anche le conclusioni da trarne...........
Con questo non voglio affatto allinearmi su posizioni cripto-lefebvriane, perché, considerata la precedente equazione, e tenuto conto che i padri conciliari celebravano con il messale tridentino, non si capisce come i presunti errori, che i seguaci di mons. Lefebvre imputano ad alcune definizioni del concilio, si siano potuti verificare.
E’ evidente che questa equazione dice molto, anzi moltissimo, ma non dice tutto.
Anzi, è meglio dire che, il concetto di lex orandi non si esaurisce nella forma con cui si celebra il divino sacrificio, ma diviene completo se comprende anche la formazione al sacro, prima e soprattutto del sacerdote, e poi quella dei christifideles laici.
Il dramma del post-concilio, per quanto attiene alla questione liturgica, è stato il diffondersi di una mentalità a-rituale, quando non decisamente anti-rituale, causata, secondo me, dalle “recezione” in chiave – mi si perdoni l’espressione forte ma che serve, solamente, a rendere l’idea – quasi protestantica delle disposizioni della “Sacrosanctum concilium”, anche da parte di chi, materialmente (monsignor Annibale Bugnini), ha approntato il nuovo messale (che come è arcinoto, ma molti maliziosamente fingono di dimenticare, non è stato fatto durante l’assise ecumenica).
Si rende quindi necessario, come peraltro da molte parti, non influenzate da posizioni ideologicamente favorevoli o contrarie all’uno o all’altro messale, viene richiesto, un nuovo movimento liturgico, che sia di stimolo per recuperare la irriducibile sacralità delle celebrazioni, sia da parte di chi le celebra sia da parte di chi, come il sottoscritto, vi assiste. Indipendentemente dalla forma che ciascuno, giustamente, possa preferire.
Per ritornare a don Sodi, ribadisco che bisogna ringraziare il Padreterno, perché il governo di Santa Romana Chiesa non è, ne mai lo sarà (inferi non prevalebunt) nelle sue mani, o in quelle di teologi o soggetti a lui affini.
grazie Luisa, per il tuo contributo. Mi si è aperto il cuore
Grazie di cuore carissima Luisa :))
cara charette
mi pare che leggi troppo le cose di una vox e poco quelle della chiesa o di chi nella chiesa vive, respira e anche studia...
la letteratura di teologia liturgica è ampia, documentata ecc. se vuoi ti indico qualche testo per conoscere meglio la liturgia attuale della chiesa...
dire che il messale non è stato fatto al concilio e dunque in tal senso voler diminuirne l'importanza è un grave errore di fede e di vita spirituale... perché la chiesa, come ha appena fatto intravedere anche il brandmueller, non si esprime soltanto attraverso i concili, ma attraverso l'autorità del romano pontefice e il suo governo ordinario... paolo vi esattamente come pio v (e qui non occorre letteratura: basta leggere la quo primum e la missale romanum) accoglie l'invito del concilio per la riforma liturgica e la attua con gli stessi criteri (è impressionante l'identità degli intenti dei due papi separati da 400 anni!)... senza protestantizzazioni, come alcuni malevoli settori tradizionalisti accusano, e senza cesure con la bimillenaria tradizione ecclesiale, come qualcuno baldanzosamente dice...
i frutti? io li vedo! basta vedere quanta maggiore coscienza c'è dell'essere popolo di dio che celebra il mistero nelle persone che ordinariamente fanno un cammino di fede... impensabile questo sensus liturgicus così diffuso ai tempi stessi del concilio...
lo sfascio post conciliare (anche se son cose da verificare attentamente e non in base a qualche esperienza negativa personale... e comunque per me non c'è se non in qualche settore ecclesiale) è una chimera che rinasce come un fantasma che ricompare... ma, noterei, quelli che hanno fatto il post concilio sono quelli che fino al giorno prima celebravano o assistevano alla messa col messale del 1962... se il criterio dei frutti vale (e io non ne sono certo che l'applicazione sia quella usata) allora la responsabilità va imputata proprio a quelli cresciuti con la vecchia liturgia, no?
la logica direbbe così!
insomma... la summorum pontificum non è uno screditamento della riforma liturgica, ma un atto di governo teso a far sentire a casa anche i tradizionalisti... pretendere di più è troppo, mi pare
francesco
Caro Giampaolo anche a me danno fastidio certi modernismi che vengono fatti passare come un cambiamento necessario per attirare i giovani nelle celebrazioni...... devi sapere che parli con una che è scappata e si è allontanata per vent'anni dalla chiesa per questo motivo e per altri che tengo per me perchè non sono prettamente inerenti all'argomento. Tutt'ora io faccio fatica a subire una messa con queste modernizzazioni. Io ho sempre apprezzato i cori l'organo e quant'altro comprese le omelie vere quelle che quando esci dalla chiesa ti lasciano qualcosa su cui riflettere e non le omelie supersoniche che segui tanto perchè sei lì e per rispetto al Signore devi subire!!!!!!!!!! Io sono stufa e stanca dei bonghi in chiesa delle nacchere delle chitarre e dei canti che potrebbero essere tranquillamente esibiti a San Remo o al festivalbar. Purtroppo, la situazione è questa comunque, sta anche a noi fedeli farci sentire per far in modo che le cose cambino. Voglio vedere adesso se a settembre il mio parroco celebrerà almeno una messa con rito tridentino in parrocchia, altrimenti andrò a chiedere spiegazioni in caso contrario non avrò difficoltà ad andare in altre chiese che ho già individuato per assistere ad una messa degna di questo nome; mi dispiace soltanto, che la mia parrocchia proprio l'anno scorso è stata dedicata da Benedetto XVI e quindi in qualche modo mi dispiace non andare a messa lì ma, n0on potrò fare diversamente.
Eugenia
“i frutti? io li vedo! basta vedere quanta maggiore coscienza c'è dell'essere popolo di dio che celebra il mistero nelle persone che ordinariamente fanno un cammino di fede... impensabile questo sensus liturgicus così diffuso ai tempi stessi del concilio...”
Sarà anche come dice Lei don Francesco, ma come si spiega che ad una “maggiore coscienza” corrispondano solo chiese semivuote, non solo di fedeli, ma anche dei ministri di Dio?!? Quando ero giovane ogni parrocchia - per quanto piccola - aveva minimo il proprio parroco, con tutto il suo seguito di chierici, diaconi, suore ecc.; ora ogni parroco deve seguirne minimo un’altra se non di più, le suore sono quasi scomparse e gli aspiranti sacerdoti quasi estinti!!! Se questi sono i frutti…, Le chiedo scusa caro Don Francesco, ma è meglio che mediti, mediti e mediti ancora all’infinito!!!
La situazione è così grave infatti, perchè la decantata apertura al mondo è stata ed è un annullamento della SPECIFICITA' della Chiesa, della sua IDENTITA'!!!
Chi ha voglia oggi di essere sagrestano, suora, sacerdote?
Sono scelte che implicano il DONARSI... donarsi a chi???
A chi non ti offre alcuna protezione, nè sicurezza, nè identità rispetto al mondo???
E' vero che è scritto "io vi mando come pecore in mezzo ai lupi..."
ma senza essere allevato nel seno di S.Madre Chiesa chi può avere il coraggio di una simile impresa???
Pochi, molto pochi.
Speriamo che siano anche i migliori...
Caro don Francesco, piuttosto che essere Charette a leggere unavox e roba simile (e lo escluderei nettamente avendo letto tutti i suoi interventi, compresa una netta presa di distanze proprio da unavox), penso che siate voi preti a leggere troppe riviste tipo Vita Pastorale e a tenerle in maggior conto di quanto scriveva un signore di nome Joseph Ratzinger.
Io non vedo tutta questa maggiore coscienza del popolo di Dio, basta fare un veloce giro di domande uscendo dalla messa e vedere quanti hanno davvero compreso di cosa si tratti.
Charette chiarisce inoltre che l'equazione "lex orandi lex credendi" dice molto ma non tutto...
Il problema infatti non risiede nel messale di Paolo VI in sé ma nel modo istrionico con cui è stato applicato (facendo soffrire per primo proprio Paolo VI), così come l'applicazione piena del Concilio Vaticano II è stata arbitrariamente sostituita da una pastorale (soprattutto giovanile) improntata ad un buonismo inconcludente da cui il mondo cattolico ancora non riesce a liberarsi, nonostante le invasive supposte di ortodossia somministrate da Giovanni Paolo II per 27 anni.
Ciao frà diavolo....... che nome originale!!!!!! Attento perchè Don Francesco potrebbe pensare che lo sai davvero Diavolo!!!!!! A parte gli scherzi, l'analisi che hai presentato nel tuo post è vera .......... Condivido ciò che dici a proposito sia del Messale di Paolo VI sia del Concilio vaticano II; infatti, non è il Messale che non va come dici tu ma, il modo di stravolgerlo e di usarlo con fantasia direi troppa; la celebrazione vera e propria ha perso il suo valore non per colpa di Paolo VI figuriamoci ma, per colpa di coloro che a torto hanno pensato di introdurre qua e la, deprecabili innovazioni affinchè la gente e soprattutto i giovani, riempissero le chiese...... be posso dirti che molta gente si è allontanata volutamente dalla chiesa in genere e dalle celebrazioni, proprio per questi motivi e per altri che non sto ad elencare.......La stessa cosa è avvenuta per il Concilio Vaticano II al quale viene dato un significato diverso ed un peso nella storia della chiesa diverso, a seconda delle necessità del momento. Hai ragione quando dici che forse i sacerdoti invece di leggere le riviste dovrebbero leggere ciò che Joseph Ratzinger ha scritto nei suoi numerosi libri....... quanto avrebbero da imparare da una persona che ha veramente dedicato la sua vita a Cristo e tutt'ora come Benedetto XVI, sta cercando con convinzione e caparbietà ( in senso positivo ovviamente ), di ridare un pò di dignità ad una chiesa che fa paurosamente acqua da tutte le parti!!!!!!!!!!!! Peccato, che molti scambiano tutto ciò per un ritorno al medioevo ad all'oscurantismo clericale compresi gli addetti ai lavori!!!!!
Eugenia
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