11 febbraio 2008

Card. Vanhoye alla curia ed al Papa: "La gloria di Cristo sta nell’aver amato sino alla fine, ristabilendo la comunione tra noi peccatori e suo Padre"


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La gloria di Cristo sta nell’aver amato sino alla fine, ristabilendo la comunione tra noi peccatori e suo Padre: così, il card. Vanhoye nelle prime meditazioni degli Esercizi spirituali quaresimali, alla presenza del Papa

Sono in corso in Vaticano gli Esercizi Spirituali per la Quaresima, con la partecipazione del Papa. Iniziati, ieri pomeriggio alle ore 18, gli Esercizi si concluderanno sabato prossimo. Le meditazioni sono proposte quest’anno dal cardinale Albert Vanhoye, già segretario della Pontificia Commissione Biblica, sul tema: “Accogliamo Cristo nostro Sommo Sacerdote”, ispirato alla Lettera agli Ebrei. Stamani, il porporato ha tenuto due meditazioni sui temi “Dio ci ha parlato nel suo Figlio” e “Cristo è Figlio di Dio e fratello nostro”. Nella settimana degli Esercizi Spirituali sono sospese tutte le udienze, compresa l’Udienza Generale di mercoledì 13 febbraio. Sulle prime meditazioni del cardinale Vanhoye, il servizio di Alessandro Gisotti:

(Canti)

Il Dio della Bibbia non è un Dio muto. E’ un Dio che parla agli uomini per entrare in comunicazione, in comunione con loro. E’ la riflessione offerta dal cardinale Vanhoye al Papa e alla Curia nella prima meditazione, tenuta ieri sera nel Palazzo Apostolico. Il nostro Dio, ha proseguito, vuole stabilire e approfondire dei rapporti personali con noi. Una volontà di comunicazione che risulta in modo eloquente quando il Signore parla a Mosé nel roveto ardente:

“E’ molto interessante vedere in che modo Dio si autodefinisce. Dice a Mosé: ‘Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe’. Dio non si autodefinisce con la sua onnipotenza, né con la sua onniscienza, ma si definisce con relazioni personali con alcuni uomini privi di importanza”

Dio, ha sottolineato il porporato, avrebbe avuto tanti motivi per non parlare più al suo popolo, che gli era stato infedele, ma invece cerca questa relazione. Anche Gesù, ha aggiunto, quando parla alla Samaritana compie un gesto straordinario, vista l’inimicizia tra giudei e samaritani. Lo fa, perché questa è la volontà di Dio, una volontà di comunicazione. L’autore della Lettera agli Ebrei, ha detto il cardinale Vanhoye, ci mostra due periodi nella comunicazione della Parola di Dio e due specie di mediatori. Ne primo, Dio ha parlato per mezzo dei profeti, mentre nel secondo periodo, quello escatologico, c’è l’intervento decisivo di Dio per mezzo del Suo Figlio, il mediatore perfetto. Nelle meditazioni di questa mattina, dunque, il cardinale Vanhoye si è soffermato sui due aspetti del nome di Cristo, presentati dalla Lettera agli Ebrei. Egli è Figlio di Dio, ma anche nostro Fratello, perché prende la forma umile della esistenza umana. Dunque, Gesù si rende solidale con noi:

“Noi abbiamo più che un avvocato, ma un fratello che intercede presso Dio; un fratello che ha promesso di annunciarci, dopo la sua glorificazione, il nome del Padre e che adesso lo annuncia. Un fratello che non si dimentica di noi nella sua gloria, perché la sua gloria è proprio il frutto stesso della sua solidarietà con noi”.

Il Figlio, ha ribadito, viene definito per mezzo della sua relazione con il Padre. E’ dunque ben superiore agli angeli che pure sono mediatori tra noi e Dio. Il cardinale Vanhoye ha quindi rivolto il pensiero alla tappa decisiva della Salvezza, il mistero pasquale: “La gloria di Cristo non è la gloria di un essere ambizioso o soddisfatto delle proprie imprese, né la gloria di un guerriero che abbia sconfitto i nemici con la forza delle armi, ma è la gloria dell’amore, la gloria dell’aver amato sino alla fine, di aver ristabilito la comunione tra noi peccatori e suo Padre”.
Cristo, dunque, è con il Padre, Signore del cielo e della terra. Cristo glorificato, ha detto il porporato, ha il potere di porre fine alla vecchia creazione, perché ha inaugurato la nuova creazione per mezzo della Sua Risurrezione.

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