3 febbraio 2008

I ginecologi romani: "Un neonato vitale, in estrema prematurità, va assistito anche se la madre è contraria"


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Testo congiunto dei direttori delle cliniche ginecologiche delle università romane

"Un neonato vitale, in estrema prematurità, va assistito anche se la madre è contraria"

Aborto, documento dei ginecologi
"Il feto deve essere rianimato"


ROMA - "Un neonato vitale, in estrema prematurità, va trattato come qualsiasi persona in condizioni di rischio, e assistito adeguatamente". Così si legge in un documento congiunto, firmato dai direttori delle cliniche di Ostetricia e Ginecologia di tutte e quattro le facoltà di Medicina delle università romane: La Sapienza, Tor Vergata, la Cattolica e il Campus Biomedico. Secondo i cattedratici, infatti, "con il momento della nascita la legge attribuisce la pienezza del diritto alla vita e, quindi, all'assistenza sanitaria". Di fatto, nel caso in cui un feto nasca vivo dopo un'interruzione di gravidanza, il neonatologo deve intervenire per rianimarlo, "anche se la madre è contraria, perché prevale l'interesse del neonato".

Il documento è stato presentato al termine di un convegno, promosso dalle stesse cattedre, all'ospedale Fatebenefratelli di Roma, in occasione della Giornata della Vita. "Nell'immediatezza della nascita - afferma Cinzia Caporale, biologa e membro del Comitato nazionale di Bioetica - il medico deve agire in scienza e coscienza sull'opzione di rianimare, indipendentemente dai genitori, a meno che non si palesi un caso di accanimento terapeutico".

Nel documento, il caso degli aborti dopo la 22esima settimana non viene esplicitamente citato, ma la presa di posizione ricalca le preoccupazioni già espresse dai vescovi italiani, riguardo ai casi di interruzione volontaria di gravidanza dopo il quarto mese, quando cioè le moderne tecniche di rianimazione consentirebbero di mantenere in vita il feto.

"L'attività rianimatoria esercitata alla nascita - si legge nel testo - dà il tempo necessario per una migliore valutazione delle condizioni cliniche, della risposta alla terapia intensiva e delle possibilità di sopravvivenza, e permette di discutere il caso con il personale dell'Unità ed i genitori". Tuttavia, concludono i firmatari, "se ci si rendesse conto dell'inutilità degli sforzi terapeutici, bisogna evitare a ogni costo che le cure intensive possano trasformarsi in accanimento terapeutico".

Il medico, quindi, come precisa Caporale, deve rianimare sempre. Nell'ipotesi in cui il feto sopravviva all'aborto "non ritengo necessario chiedere il consenso della madre - sottolinea la biologa membro del Comitato nazionale di bioetica - in questo caso infatti si esercita un'opzione di garanzia con cui si tutela un individuo vulnerabile e fragile, qual è il neonato, in una fase in cui non si hanno certezze cliniche".

"Secondo me - aggiunge - si può presumere lo stato di abbandono giuridico del neonato da parte della madre, che ovviamente può tornare indietro sulla sua decisione".

"Non si può decidere di assistere un neonato solo in base alla settimana di gravidanza - spiega Domenico Arduini, direttore della Clinica ostetrica e ginecologica di Tor Vergata - ma in base alla patologia della madre e del figlio. Un bambino nato alla 21esima settimana non sopravvive, ma già a partire dalla 22esima ha tra il 14 e il 26% di possibilità". Salgono le aspettative di vita dalla 23esima settimana: "Al primo giorno le probabilità oscillano tra il 30 e il 47% - dice Giuseppe Noia, docente di Medicina prenatale alla Cattolica - oggi rispetto a dieci anni di fa migliorano le aspettative di sopravvivenza, ma il problema della scelta dell'assistenza è sul futuro del neonato e un'eventuale disabilità. Alcuni genitori preferiscono addirittura che i loro bimbi non vengano assistiti".

Repubblica.it consultabile anche qui

Barbara Pollastrini: "Ma nessuno può aggirare la volontà della donna" di GIOVANNA CASADIO

Paola Binetti: "Giusto, tocca ai medici valutare quando intervenire" di MARINA CAVALLIERI

Ieri sera lo stesso sito di Repubblica parlava di "documento choc". Non vedo che cosa ci sia da scandalizzarsi. Mi sembra che i medici abbiano semplicemente scritto il documento in scienza, coscienza e secondo la legge.
Vorrei, infatti, fare un discorso giuridico.
Plaudo alle parole dei ginecologi romani, non solo perche' sono cattolica, ma perche' finalmente, liberi da ideologie, si inizia a ragionare sulla base del diritto.
Leggiamo l'articolo 1 del codice civile:

Art. 1 Capacità giuridica

La capacità giuridica si acquista dal momento della nascita.
I diritti che la legge riconosce a favore del concepito sono subordinati all'evento della nascita


Che cosa significa concretamente? E' molto semplice: la capacita' giuridica, cioe' l'idoneita' ad essere titolare di diritti e di doveri, si acquista al momento dalla nascita. Da quel momento, anche per il diritto, il neonato e' persona fisica sia per il diritto civile sia per quello penale.
Tale capacita' si acquisisce ad una condizione e cioe' che il neonato nasca e nasca vivo.
Da tutto cio' si deduce che il documento dei ginecologi rispetta in pieno i dettami del codice civile.
Se il bambino abortito non e' morto, ma da' segni di vita, egli e' nato e nato vivo. Per il diritto e' una persona fisica.
Lasciarlo morire e' soppressione di una vita umana venuta alla luce ovvero omissione di soccorso.
Non posso che essere felice, quindi, per la decisione dei ginecologi romani sia come cattolica che come cittadina italiana
.
Raffaella

Vedi anche:

"Aborto, se il feto è vivo va sempre rianimato" di Flavia Amabile ("La Stampa")

«Il feto nato vivo deve essere rianimato» ("Il Tempo")

9 commenti:

Anonimo ha detto...

Interessante documento dei ginecologi romani ed il deprimente commento della solita Barbara Pollastrini.............. " non si può aggirare il volere della donna" io dico che non si può e non si deve rinunciare alla vita quando ancora niente è perduto.

Anonimo ha detto...

Penso che è veramente allarmante la continua intrusione che queste persone vogliono condurre nella vita privata delle persone! Si tratta di una scelta assolutamente personale e che riguarda i genitori del bambino. Credo fermamente che ad ognuno spetti di decidere cosa fare e che mai un medico cattolico ha il diritto di prevalicare le scelte dei genitori.

Anonimo ha detto...

La difesa della vita non e' una questione privata ma riguarda tutti noi.
Qui parliamo di medici, non di medici cattolici.

Anonimo ha detto...

Raffaella, mi è piaciuta la tua riflessione, e pur non conoscendo il diritto penso sia logica. I vari schieramenti pro e contro aborto sono una cosa diversa da quanto si dice in questo documento. Una volta, ahimè, avvenuto l'aborto, visto che la legge lo permette, ci sia il diritto (ma penso sia più un dovere) a curare e aiutare la crescita al feto che da solo morirebbe. Questa è un'altra questione. O vogliono che il feto vada tranquillamente nel cestino come fosse una qualsiasi siringa?

Anonimo ha detto...

Ma nel caso che il piccolo sopravvivesse con gravi handicap (di solito l'aborto terapeutico si fa per motivi precisi, non per capriccio) e la madre non volesse tenerlo, sarebbe adottabile? e se l'handicap fosse così grave da vivere attaccato a dei macchinari? e se fosse necessario intervenire chirurgicamente? una nuova famiglia lo adotterebbe o resterebbe in ospedale a vita?

Anonimo ha detto...

Tutto cio' non puo' giustificare la soppressione di un essere umano nato vivo.
Chi si prende questa responsabilita'? E se il bambino fosse sano? E se volesse vivere con tutte le sue forze?

Luisa ha detto...

" Credo fermamente che ad ognuno spetti di decidere cosa fare e che mai un medico cattolico ha il diritto di prevalicare le scelte dei genitori."

Un medico ,cattolico o no, ha come dovere di curare la vita , la religione in questo campo non c`entra per niente.
Se un feto nasce vivo e i casi sono sempre più numerosi, quando l`aborto è praticato tardivamente, oggi la scienza medica gli permette di essere salvato, senza accanimento terapeutico.
Un genitore non può domandare ad un medico di uccidere un bambino il cui cuore batte e che si sta battendo per vivere.
Il semplice buon senso dovrebbe suggerirlo.
Saremmo i primi a scandalizzarsi davanti ad un genitore che uccide un bambino, un neonato, quale è la differenza?
Ho visto immagini di feti martoriati, dopo aborti tardivi, durante i quali con delle tecniche abominevoli e purtroppo praticate da medici, venivano uccisi nel ventre della loro madre. Immagini insopportabili, ma che forse noi dovremmo guardare per renderci conto sino dove l`incoscienza, la follia umana può andare,
E sopratutto affinchè, mai, si possa un giorno dire: io non lo sapevo.

Anonimo ha detto...

Nel momento in cui la donna decide di "uccidere" il proprio figlio, quindi lo disconosce non vedo quale altro diritto avrebbe nei suoi confronti...
Se i medici lo vogliono salvare e dopo dare in affidamento, secondo me ne hanno diritto.
La sig.ra Pollastrini forse dovrebbe fare un po di corsi di etica e morale e togliersi la maschera di finta femminista.

Spero che, a livello medico, sia una svolta....

Utnapishtim ha detto...

Non ci sono questioni e la legge attuale è chiara: quando un bimbo nasce, quali che siano le volontà dei genitori, la sua vita è in mano ai medici, che devono far di tutto per salvarla nei limiti che non comportino accanimento terapeutico.
Nella legge italiana il genitore non ha alcun potere sulla vita dei propri figli.
La 194 è una legge perfetta anche in questo, che non da adito a dubbi, e concede libertà di determinare l'esito di una gravidanza solo entro termini temporali stabiliti per convenzione.
Se invece con questo (superfluo) proclama quei medici vogliono insidiare questi termini temporali fissati dalla 194 allora forse è meglio che dedichino ad altro il loro tempo.