15 aprile 2008

Per il compleanno del Papa...omaggio dell'Osservatore Romano


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Per il compleanno del Papa

Dieci anni fa, il 15 aprile 1998, moriva William Congdon. Poco tempo dopo la scomparsa dell'artista statunitense, un "dialogo involontario" tra le "icone del sabato" dello stesso Congdon e alcune meditazioni sulla Settimana santa del cardinale Joseph Ratzinger fu pubblicato in Il sabato della storia, un singolare volume del quale pubblichiamo il testo sul Sabato santo.
Ed era un Sabato santo il giorno della nascita di Ratzinger, come lui stesso sottolinea nei suoi ricordi autobiografici: "Sono nato il 16 aprile 1927, Sabato santo, a Marktl sull'Inn. In famiglia veniva spesso ricordato che il giorno della mia nascita era l'ultimo della Settimana santa e la vigilia di Pasqua, tanto più che io fui battezzato il mattino successivo alla mia nascita, con l'acqua appena benedetta della "notte pasquale", che allora veniva celebrata al mattino: l'essere il primo battezzato della nuova acqua era un importante segno premonitore. Personalmente sono sempre stato grato per il fatto che, in questo modo, la mia vita sia stata fin dall'inizio immersa nel mistero pasquale, dal momento che non poteva che essere un segno di benedizione. Indubbiamente, non era la domenica di Pasqua ma, appunto, il Sabato santo. Eppure, quanto più ci penso, tanto più mi pare una caratteristica della nostra esistenza umana, che ancora attende la Pasqua, non è ancora nella luce piena, ma fiduciosa si avvia verso di essa".

Ricordando quel giorno - come è nella tradizione del giornale del Papa, e facendosi interprete dei suoi lettori e di tantissime altre persone nel mondo - "L'Osservatore Romano" rivolge oggi a Benedetto XVI gli auguri più affettuosi con l'antica espressione latina: ad multos annos, sancte pater. E anche in questo giorno, come avviene quotidianamente ma con un sentimento ancora più cordiale, prega per il Pontefice: Dominus conservet eum, et vivificet eum, et non tradat eum in animam inimicorum eius.

(©L'Osservatore Romano - 16 aprile 2008)

Il Sabato santo di Joseph Ratzinger

Non è questo in maniera impressionante il nostro giorno?

Il 16 aprile 1927 Joseph Ratzinger nasceva a Marktl sull'Inn. Era un Sabato santo. Come omaggio per il suo compleanno pubblichiamo uno stralcio di una delle sue meditazioni contenute nel volume Il sabato della storia scritto insieme a William Congdon e pubblicato nel 1998 (Jaca Book).

di Joseph Ratzinger

Il mistero terribile del Sabato santo, il suo abisso di silenzio, ha acquistato nel nostro tempo una realtà schiacciante. Giacché questo è il Sabato santo: giorno del nascondimento di Dio, giorno di quel paradosso inaudito che noi esprimiamo nel Credo con le parole "disceso agli inferi", disceso dentro il mistero della morte.

Il Venerdì santo potevamo ancora guardare il trafitto. Il Sabato santo è vuoto, la pesante pietra del sepolcro nuovo copre il defunto, tutto è passato, la fede sembra essere definitivamente smascherata come fanatismo. Nessun Dio ha salvato questo Gesù che si atteggiava a Figlio suo. Si può essere tranquilli: i prudenti che prima avevano un po' titubato nel loro intimo se forse potesse essere diverso, hanno avuto invece ragione.

Sabato santo: giorno della sepoltura di Dio; non è questo in maniera impressionante il nostro giorno? Non comincia il nostro secolo ad essere un grande Sabato santo, giorno dell'assenza di Dio, nel quale anche i discepoli hanno un vuoto agghiacciante nel cuore che si allarga sempre di più, e per questo motivo si preparano pieni di vergogna ed angoscia al ritorno a casa e si avviano cupi e distrutti nella loro disperazione verso Emmaus, non accorgendosi affatto che colui che era creduto morto è in mezzo a loro?

Dio è morto e noi lo abbiamo ucciso: ci siamo propriamente accorti che questa frase è presa quasi alla lettera dalla tradizione cristiana e che noi spesso nelle nostre vie crucis abbiamo ripetuto qualcosa di simile senza accorgerci della gravità tremenda di quanto dicevamo? Noi lo abbiamo ucciso, rinchiudendolo nel guscio stantio dei pensieri abitudinari, esiliandolo in una forma di pietà senza contenuto di realtà e perduta nel giro delle frasi devozionali o delle preziosità archeologiche; noi lo abbiamo ucciso attraverso l'ambiguità della nostra vita che ha steso un velo di oscurità anche su di lui: infatti che cosa avrebbe potuto rendere più problematico in questo mondo Dio se non la problematicità della fede e dell'amore dei suoi credenti?

L'oscurità divina di questo giorno, di questo secolo che diventa in misura sempre maggiore un Sabato santo, parla alla nostra coscienza. Anche noi abbiamo a che fare con essa. Ma nonostante tutto essa ha in sé qualcosa di consolante. La morte di Dio in Gesù Cristo è nello stesso tempo espressione della sua radicale solidarietà con noi. Il mistero più oscuro della fede è nello stesso tempo il segno più chiaro di una speranza che non ha confini. Ed ancora una cosa: solo attraverso il fallimento del Venerdì santo, solo attraverso il silenzio di morte del Sabato santo, i discepoli poterono essere portati alla comprensione di ciò che era veramente Gesù e di ciò che il suo messaggio stava a significare in realtà. Dio doveva morire per essi perché potesse realmente vivere in essi. L'immagine che si erano formata di Dio, nella quale avevano tentato di costringerlo, doveva essere distrutta perché essi attraverso le macerie della casa diroccata potessero vedere il cielo, lui stesso, che rimane sempre l'infinitamente più grande. Noi abbiamo bisogno del silenzio di Dio per sperimentare nuovamente l'abisso della sua grandezza e l'abisso del nostro nulla che verrebbe a spalancarsi se non ci fosse lui.
C'è una scena nel Vangelo che anticipa in maniera straordinaria il silenzio del Sabato santo e appare quindi ancora una volta come il ritratto del nostro momento storico. Cristo dorme in una barca che, sbattuta dalla tempesta, sta per affondare. Il profeta Elia aveva una volta irriso i preti di Baal, che inutilmente invocavano a gran voce il loro dio perché volesse far discendere il fuoco sul sacrificio, esortandoli a gridare più forte, caso mai il loro dio stesse per dormire. Ma Dio non dorme realmente? Lo scherno del profeta non tocca alla fin fine anche i credenti del Dio di Israele che viaggiano con lui in una barca che sta per affondare? Dio sta a dormire mentre le sue cose stanno per affondare, non è questa l'esperienza della nostra vita? La Chiesa, la fede, non assomigliano ad una piccola barca che sta per affondare, che lotta inutilmente contro le onde e il vento, mentre Dio è assente? I discepoli gridano nella disperazione estrema e scuotono il Signore per svegliarlo, ma egli si mostra meravigliato e rimprovera la loro poca fede. Ma è diversamente per noi?

Quando la tempesta sarà passata ci accorgeremo di quanto la nostra poca fede fosse carica di stoltezza. E tuttavia, o Signore, non possiamo fare a meno di scuotere te, Dio che stai in silenzio e dormi e gridarti: svegliati, non vedi che affondiamo? Destati, non lasciar durare in eterno l'oscurità del Sabato santo, lascia cadere un raggio di Pasqua anche sui nostri giorni, accompagnati a noi quando ci avviamo disperati verso Emmaus perché il nostro cuore possa accendersi alla tua vicinanza. Tu che hai guidato in maniera nascosta le vie di Israele per essere finalmente uomo con gli uomini, non ci lasciare nel buio, non permettere che la tua parola si perda nel gran sciupio di parole di questi tempi. Signore dacci il tuo aiuto, perché senza di te affonderemo.

(©L'Osservatore Romano - 16 aprile 2008)

Il testo completo e' disponibile qui.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Buon giorno, con gli auguri più belli per il nostro grande e amato Pontefice. Straordinario questo brano sul Sabato Santo come metafora della nostra disperazione, di fronte a quello che crediamo essere il "silenzio di Dio", mentre non ci accorgiamo che c'è e soffre con noi. Ho subito girato il file a quante più persone potevo. Carla