9 settembre 2008
Joseph Ratzinger e la lezione guardiniana. Il rapporto intellettuale tra il futuro Papa e Romano Guardini (Osservatore Romano)
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Il rapporto intellettuale tra il futuro Papa e il grande pensatore nato a Verona
Joseph Ratzinger e la lezione guardiniana
Pubblichiamo integralmente un saggio tratto dal prossimo numero della rivista "Vita e Pensiero" in uscita in questi giorni nelle librerie.
di Silvano Zucal
Università di Trento Curatore dell'Opera omnia
di Guardini (Morcelliana)
Il primo ottobre del 1968 a Monaco di Baviera moriva Romano Guardini, il grande pensatore italo-tedesco. Ricorre quindi quest'anno il quarantesimo anniversario dalla sua scomparsa. In Italia e in Germania, ma anche in altri Paesi europei, saranno a lui dedicati simposi, seminari, convegni che cercheranno di rileggere il suo straordinario contributo al pensiero filosofico e teologico. Contributo di quello che, a buon diritto, la sua biografa Hanna-Barbara Gerl ama definire il grande "padre della Chiesa del xx secolo".
In questo saggio vorremmo porre l'attenzione sul suo rapporto con Joseph Alois Ratzinger, ora Papa Benedetto XVI. Egli ha definito Guardini una "grande figura, interprete cristiano del mondo e del proprio tempo" (Perché siamo ancora nella Chiesa, Milano, Rizzoli, 2008, pagina 186) e a Guardini torna spesso in quasi tutti i suoi scritti.
In realtà, per Ratzinger, quella di Guardini è una voce ancora attuale che semmai va resa nuovamente udibile. Il pensatore italo-tedesco infatti non ha scritto solamente molti libri tradotti in molte lingue, ma nel suo tempo è riuscito a plasmare un'intera generazione, la generazione alla quale lo stesso Pontefice si sente di appartenere. Già questo rappresenta di per sé un frutto duraturo della lezione guardiniana.
Prima di addentrarci compiutamente nell'ermeneutica guardiniana, proposta dall'attuale Pontefice, vorremmo anzitutto fermarci sul sorprendente intreccio biografico delle due personalità.
Nel viaggio di Benedetto XVI a Verona del 19 ottobre 2006 si è disvelato un aspetto particolare, anzi un "incontro" particolare. Non si può infatti dimenticare che Verona è la città che il 17 febbraio 1885 ha dato i natali a Guardini. E con grande commozione il Papa ha ricevuto in dono proprio a Verona una copia dell'atto battesimale di Guardini, il cui battesimo era avvenuto nella chiesa di San Nicolò all'Arena.
C'è in tal senso - si potrebbe dire - un singolare incrocio di destini tra Romano Guardini e Joseph Ratzinger. Guardini se ne andrà fin dalla primissima infanzia dall'Italia e diventerà "tedesco" per formazione intellettuale e spirituale. Dopo gli anni dell'insegnamento a Berlino dal 1923 al 1939, nel secondo dopoguerra, dopo i tre anni di docenza a Tubinga dal 1945 al 1948, egli insegnerà ininterrottamente "visione cristiana del mondo" (christliche Weltanschauung) a Monaco di Baviera. La città elettiva di Guardini è quindi proprio Monaco, dove appunto morirà nel 1968.
Ratzinger compirà esattamente il cammino inverso. Dopo l'insegnamento di dogmatica e di teologia fondamentale presso la Scuola superiore di Frisinga, egli continuerà la sua attività di insegnamento a Bonn (1959-1969), la città della formazione e degli esordi di Guardini, a Münster (1963-1966) e infine a Tubinga per un triennio (1966-1969) come accadrà proprio allo stesso Guardini. Dal 1969 insegna invece dogmatica e storia dei dogmi presso l'Università di Ratisbona, ma il 25 marzo 1977 Papa Paolo VI lo nominerà arcivescovo di Monaco e Frisinga. Come già per Guardini, Monaco sembrava anche per Ratzinger la tappa definitiva.
Invece le due strade si divaricano. Se il filosofo veronese sarà chiamato per sempre al Nord, in quella Monaco che egli tanto amava perché la sentiva come una sorta di città-sintesi in cui anche la sua anima italiana poteva trovarsi a casa, il teologo tedesco vedrà invece il Sud come destino. E non tornerà più a casa anche quando il desiderio del ritorno alla sua Baviera era impellente e sembrava poter essere soddisfatto. Roma e l'Italia diventeranno la sua definitiva "patria" spirituale.
Al di là di questi itinerari insieme incrociati e opposti nelle direzioni, queste due figure straordinarie avranno modo di incontrarsi anche personalmente. Ratzinger sarà non solo lettore di Guardini ma anche in qualche occasione "uditore" come lo era stato a Berlino il grande teologo Hans Urs von Balthasar. Negli anni che vanno dal 1946 al 1951, proprio gli stessi anni in cui Ratzinger studiava presso la Scuola superiore di filosofia e teologia di Frisinga, nelle immediate vicinanze della capitale bavarese, e poi all'Università di Monaco, Guardini assume in quella stessa città, in quell'Università e nella Chiesa locale monacense, quel ruolo di leadership intellettuale e spirituale che tutti gli riconoscono. Per Ratzinger, allora poco più che ventenne, il fascino di una figura come quella di Guardini è indiscutibile e ne segnerà fortemente il suo stesso profilo intellettuale. Quando, a partire dal 1952, egli inizia la sua attività didattica nella medesima Scuola di Frisinga dove era stato studente, l'eco delle lezioni guardiniane arrivava ben forte nella cittadina che respirava quanto di culturale e intellettuale accadeva nella vicina capitale bavarese. E il rapporto intellettuale tra il futuro Papa e il "maestro" Guardini è straordinariamente intenso.
Sono infatti molteplici gli elementi che accomunano i due pensatori che diventeranno poi figure decisive della Chiesa del Novecento. Se l'uno diventerà cardinale e poi Papa, anche a Guardini verrà offerto il cardinalato a cui poi rinuncerà. Entrambi sono preoccupati di ritrovare l'essenziale del cristianesimo cercando di rispondere alla provocazione feuerbachiana. Su questo Guardini scriverà nel 1938, la splendida opera che porta il titolo L'essenza del cristianesimo, mentre Ratzinger dedicherà al tema la sua Introduzione al cristianesimo scritta nel 1968, indubbiamente la sua opera più celebre e anche, con ogni probabilità, la più importante.
Egualmente li accomuna la preoccupazione per la Chiesa, il suo senso e il suo destino. Se Guardini profetizzava nel 1921 che "un processo di grande portata è iniziato: la Chiesa si sveglia nelle coscienze", in modo più drammatico Ratzinger si poneva con eguale radicalità il problema ecclesiologico a partire da quello che egli ritiene l'avvenuto capovolgimento della tesi guardiniana che oggi a suo avviso suonerebbe così: "In realtà si svolge un processo di grande portata - la Chiesa si spegne nelle anime e si disgrega nelle comunità" (ivi).
Basti pensare, in tal senso, alla vastissima risonanza che ebbe a suo tempo l'accorato intervento pronunciato il 4 giugno 1970 all'Accademia cattolica bavarese di Monaco davanti a mille persone sul tema Perché oggi sono ancora nella Chiesa? Ebbe allora a dichiarare: "Io sono nella Chiesa per gli stessi motivi per i quali sono cristiano: poiché non si può credere da soli (...) Si può essere cristiani solo nella Chiesa, non accanto a essa" (ivi, pagine 153-54).
Analoga anche la preoccupazione per il futuro dell'Europa che tende a ripudiare il suo passato. Basti pensare alle lezioni sull'Europa di Guardini e agli interventi, anche recenti, del futuro Pontefice che anche nel nome papale ha voluto ricordare il senso dell'Europa e delle sue radici, ritenendo l'Europa "un'eredità vincolante per i cristiani" (cfr. ivi, pagine 163-83).
Un punto d'incontro tra l'attuale Papa e Guardini è indubbiamente la tematica della liturgia. Un aspetto, peraltro, cruciale. Entrambi sono uniti dalla comune passione per la liturgia.
Per chiarire il suo debito nei confronti di Guardini, Ratzinger titolò il suo testo sul tema liturgico, uscito nella festa di sant'Agostino del 1999 che ebbe uno straordinario successo (4 edizioni in un anno), Introduzione allo spirito della liturgia proprio ricordando il celebre Lo spirito della liturgia di Guardini uscito nel 1918. Scrive lo stesso Ratzinger nella premessa al suo testo: "Una delle mie prime letture dopo l'inizio degli studi teologici, al principio del 1946, fu l'opera prima di Romano Guardini Lo spirito della liturgia, un piccolo libro pubblicato nella Pasqua del 1918 come volume inaugurale della collana "Ecclesia orans", a cura dell'abate Herwegen, più volte ristampato fino al 1957. Quest'opera può, a buon diritto, essere ritenuta l'avvio del movimento liturgico in Germania. Essa contribuì in maniera decisiva a far sì che la liturgia, con la sua bellezza, la sua ricchezza nascosta e la sua grandezza che travalica il tempo, venisse nuovamente riscoperta come centro vitale della Chiesa e della vita cristiana. Essa diede il suo contributo perché si celebrasse la liturgia in maniera "essenziale" (termine assai caro a Guardini); la si voleva comprendere a partire dalla sua natura e dalla sua forma interiori, come preghiera ispirata e guidata dallo stesso Spirito Santo, in cui Cristo continua a divenire a noi contemporaneo, a fare irruzione nella nostra vita". E il confronto prosegue.
Ratzinger paragona il proprio intento a quello di Guardini e lo ritiene del tutto coincidente nello spirito anche se in un contesto storico radicalmente diverso: "Vorrei arrischiare un paragone, che come tutti i paragoni è in gran parte inadeguato, ma che aiuta a capire. Si potrebbe dire che la liturgia era allora - nel 1918 - per certi aspetti simile a un affresco che si era conservato intatto, ma che era quasi coperto da un intonaco successivo: nel messale, con cui il sacerdote la celebrava, la sua forma era pienamente presente, così come si era sviluppata dalle origini, ma per i credenti essa era ampiamente nascosta da istruzioni e forme di preghiera di carattere privato. Grazie al movimento liturgico e - in maniera definitiva - grazie al concilio Vaticano ii, l'affresco fu riportato alla luce e per un momento restammo tutti affascinati dalla bellezza dei suoi colori e delle sue figure".
Dopo la ripulitura dell'affresco il problema dello "spirito della liturgia" per Ratzinger però oggi si ripropone. Rimanendo nella metafora: per l'attuale Papa diversi ed errati tentativi di restauro o di ricostruzione, disturbo arrecato dalla massa dei visitatori, hanno fatto sì che l'affresco sia stato messo gravemente a repentaglio e minacci di rovinare se non si prendono le misure necessarie per porre fine a tali dannosi influssi. Non si tratta per Ratzinger di tornare al passato e infatti egli dice "naturalmente non si deve tornare a coprirlo di intonaco, ma è indispensabile una nuova comprensione del messaggio liturgico e della sua realtà, così che l'averlo riportato alla luce non rappresenti il primo gradino della sua definitiva rovina.
Questo libro vorrebbe proprio rappresentare un contributo a tale rinnovata comprensione. Le sue intenzioni coincidono quindi sostanzialmente con ciò che Guardini si era proposto a suo tempo; per questo - conclude Ratzinger - ho volutamente scelto un titolo che ricorda espressamente quel classico della teologia liturgica". E anche nel prosieguo del testo, soprattutto nel primo capitolo, egli si confronta con le tesi di Guardini e soprattutto con la sua celebre definizione della liturgia come "gioco".
Nell'intervento commemorativo del 1985 Ratzinger si soffermava invece sulla fondazione storico-filosofica del rinnovamento liturgico proposto da Guardini. Nell'opera Formazione liturgica del 1923 il filosofo salutava con spirito liberatorio la fine dell'epoca moderna giacché essa rappresentava lo sfacelo dell'essere umano e, più in generale, del mondo, una divaricazione schizofrenica tra una spiritualità disincarnata e menzognera e una materialità abbrutita che è solo uno strumento nelle mani dell'uomo e dei suoi obiettivi. Si aspirava al "puro spirito" e si incappò nell'astratto: il mondo delle idee, delle formule, degli apparati, dei meccanismi e delle organizzazioni. L'allontanamento dal moderno coincideva in Guardini, sottolinea Ratzinger, con l'entusiasmo rivolto al paradigma medievale ben illustrato nel libro del martire del nazismo Paul Ludwig Lansberg, Il Medioevo e noi, uscito nel 1923. Ciò non significava per Guardini abbandonarsi a un romanticismo del medioevo ma coglierne la permanente lezione. Nel liturgico è il vero autocompimento del cristiano e allora nella lotta sul simbolo e sulla liturgia ciò che è in gioco, annota Ratzinger sulla scia della lezione di Guardini, è il divenire stesso dell'uomo nella sua dimensione essenziale.
Il Papa andrà poi anche a soffermarsi sulle ultime affermazioni guardiniane sulla questione liturgica espresse nella famosa lettera inviata da Guardini nel 1964, ai partecipanti al terzo Congresso liturgico di Magonza, che conteneva la celebre domanda: "L'atto liturgico, e con esso soprattutto quello che si chiama "liturgia", è forse tanto storicamente vincolato - all'antichità o al Medioevo - che per onestà lo si dovrebbe abbandonare del tutto?". Una domanda che nascondeva in realtà un quesito drammatico: l'uomo del futuro sarà ancora in grado di compiere l'atto liturgico che richiede un senso simbolico-religioso ormai in estinzione oltre che la sola obbedienza della fede? Senza più il pàthos ottimistico della prima ora egli intravedeva il volto del postmoderno con tratti ben diversi da quelli da lui in precedenza auspicati. Un vero e proprio choc spirituale dovuto alla civilizzazione tecnica onniinvasiva, come già testimoniavano le sue Lettere dal Lago di Como del 1923. Per questo, sottolinea Ratzinger, "qualcosa della difficoltà degli ultimi tempi si trova, nonostante la gioia per la riforma liturgica del Concilio sviluppatasi a partire dal suo lavoro, nella sua lettera del 1964 (...) Guardini esorta i liturgisti radunati a Magonza a prendere sul serio l'estraneità di coloro che considerano la liturgia come non più eseguibile e a riflettere su "come si possa - se la liturgia è essenziale - avvicinarli a essa"" (Perché siamo ancora nella Chiesa, pagina 246).
Guardini, ricorda Ratzinger, si trovò nel pieno del dramma della crisi modernista. Come ne uscì? Fedele alla lezione del suo primo maestro, il teologo di Tubinga Wilhelm Koch, ma anche attento ai limiti e ai rischi di quella prospettiva, è andato alla ricerca di un nuovo fondamento e l'ha trovato a partire dalla sua conversione.
"La breve scena - sottolinea il Papa - di come Guardini, insieme all'amico Karl Neundörfer, anche se naturalmente ognuno per conto proprio, dopo la perdita della fede penetra di nuovo in essa, ha qualcosa di grande ed emozionante proprio nella modestia e semplicità con cui Guardini descrive il processo. L'esperienza di Guardini nella mansarda e sul balcone della casa dei genitori mostra una somiglianza davvero stupefacente con la scena del giardino, nella quale Agostino e Alipio trovarono l'apparizione della propria vita. In entrambi i casi si schiude la parte più interiore di un uomo, ma nel guardare all'interno di ciò che vi è di più personale e più nascosto, nell'ascoltare il battito del cuore di un uomo, si percepisce a un tratto il rintocco della storia più grande, poiché è l'ora della verità, perché un uomo ha incontrato la verità" (ivi, pagine 249-50).
Un incontro non più con Dio inteso in senso universale ma con "il Dio in concreto". In quel momento Guardini, sottolinea Ratzinger, seppe che egli teneva in mano tutto, la sua vita intera, e disponeva di essa e anzi doveva disporne. La scelta fu quella di dare la sua vita alla Chiesa e di qui viene la sua opzione teologica fondamentale: "Guardini era convinto che solo il pensare con il soggetto Chiesa renda liberi e, soprattutto, renda possibile la teologia (...) Programma che oggi è nuovamente di attualità e dovrebbe essere preso in considerazione nel modo più approfondito come richiesta alla teologia moderna" (ivi, pagine 290-91).
Per Guardini una conoscenza teologica costruttiva non può mai realizzarsi allorché Chiesa e dogma appaiono soltanto "come limite e chiusura". Di qui il suo motto provocatorio, dal punto di vista teologico, "noi eravamo decisamente non liberali", che allude al fatto che per lui, annota il Papa, la Rivelazione si poneva come criterio ultimo, "fatto originante" della conoscenza teologica, e la Chiesa ne era la "sua portatrice". Il dogma diventava così l'ordinamento fecondo del pensiero teologico. Effettivo fondamento della sua teologia fu dunque l'esperienza della conversione che per Guardini costituì il superamento dello spirito moderno e, in specie, della sua deriva soggettivistica post-kantiana. Per il nostro pensatore dunque "all'inizio non vi è la riflessione, bensì l'esperienza. Tutto ciò che si presentò più tardi come contenuti, è sviluppato a partire da questa esperienza originaria" (ivi, pagina 252).
Nel descrivere la struttura fondamentale del pensiero di Guardini, il futuro Papa si sofferma su quelle che, a suo dire, costituiscono le categorie principali all'interno dell'unità di liturgia, cristologia e filosofia. Anzitutto il "rapporto tra pensiero ed essere". Un rapporto che implica l'attenzione alla verità stessa, la ricerca dell'essere dietro il fare. Basti pensare alle parole pronunciate da Guardini nella sua lezione di prova a Bonn: "Il pensiero sembra volersi di nuovo indirizzare adorante verso l'essere". Sulla scia di Nicolai Hartmann, di Edmund Husserl e soprattutto di Max Scheler, la proposta di Guardini, per Ratzinger, esprimeva "l'ottimismo per il fatto che ora la filosofia ripartiva come questione dei fatti stessi, un inizio che guidava del tutto da solo nella direzione delle grandi sintesi del Medioevo e del pensiero cattolico da esse formato" (ivi, pagina 253). Per Guardini, sottolinea il Papa, la verità dell'uomo è l'essenzialità, la conformità all'essere, meglio ancora "l'obbedienza all'essere" che in primis è obbedienza del nostro essere di fronte all'essere di Dio. Solo in tal modo si perviene alla forza della verità, a quel primato determinante e orientativo del lògos sull'èthos su cui da sempre insisteva Guardini. Ciò che egli voleva, chiosa Ratzinger, era sempre "un nuovo avanzamento verso l'essere stesso, la richiesta dell'essenziale che si trova nella verità" (ivi, pagina 256).
Con la categoria fenomenologica fondamentale dell'obbedienza del pensiero di fronte all'essere - di fronte a ciò che si mostra e che è - sono dunque emerse molte altre categorie guardiniane che così il Papa va a sintetizzare: "L'essenzialità, alla quale Guardini contrappose una veridicità meramente soggettiva; l'obbedienza che consegue dal rapporto con la verità dell'uomo ed esprime il suo modo di diventare libero e di essere tutt'uno con la propria essenza; infine la priorità del lògos sull'èthos, dell'essere rispetto al fare" (ibidem).
A esse ne vanno aggiunte altre due che emergono dagli scritti metodologici di Guardini: il "concreto-vivente" e l'"opposizione polare". Il "concreto-vivente" oltre a essere una categoria generale del pensiero guardiniano assume anche, secondo Ratzinger, una piega cristologica: "L'uomo è aperto verso la verità, ma la verità non è in qualche luogo, bensì nel concreto-vivente, nella figura di Gesù Cristo. Questo concreto-vivente si dimostra come verità proprio attraverso il fatto che esso è l'unità dell'apparentemente contrapposto, poiché il lògos e l'alògon si uniscono in esso. Solo nel tutto sta la verità" (ivi, pagina 261). L'"apparentemente contrapposto" è ciò a cui allude l'altra categoria metodologica fondamentale, quella dell'"opposizione polare", degli opposti che, nel mentre si oppongono, insieme si richiamano: silenzio-parola, individuo-comunità. Solo chi sa tenerli insieme può abbandonare ogni forma di pericoloso esclusivismo e ogni deleterio dogmatismo.
Il 14 marzo del 1978 l'Accademia cattolica bavarese assegnò il "Premio Romano Guardini" al presidente del Land di Baviera Alfons Goppel e a tenere la Laudatio, come era prassi, venne chiamato Joseph Ratzinger nella sua qualità di presidente della Conferenza episcopale bavarese. Un testo di straordinario spessore in cui egli passa in rassegna le varie dimensioni del "politico": la politica come arte, l'appartenenza del politico a un territorio, la responsabilità verso lo Stato, il rapporto tra verità e coscienza in ambito politico. In quest'ultimo passaggio egli riprende ancora una volta la lezione di Guardini: "In Germania abbiamo fatto esperienza del tiranno che manda a morte, bandisce e confisca (...). L'utilizzo senza coscienza della parola è una particolare specie di tirannia, che a suo modo manda a morte, confisca e bandisce altrettanto. Ci sono certamente anche oggi motivi sufficienti per esprimere simili ammonimenti e per richiamare le forze che siano in grado di impedire tale tirannia, che cresce a vista d'occhio. L'esperienza della sanguinaria tirannia di Hitler e lo stare all'erta di fronte a nuove minacce fecero diventare Romano Guardini, nei suoi ultimi anni, quasi contro il suo temperamento, quel "drammatico ammonitore sulla rovina della politica attraverso l'annullamento delle coscienze" e lo spinsero a invitare a un'interpretazione giusta, non meramente teorica, bensì reale ed efficace del mondo secondo l'uomo che agisce politicamente in base alla fede" (ivi, pagina 236).
Tematiche di tale rilievo Guardini andò a proporre nel mondo accademico tedesco da Berlino a Tubinga fino a Monaco. Rapporto controverso, afferma il Papa, quello del pensatore con l'Università tedesca che fin dai tempi della cattedra berlinese lo portò a soffrire "per l'impressione di stare al di fuori del canone metodologico dell'Università e da essa egli fu in effetti palesemente non riconosciuto. Si consolò con il pensiero che, con la propria lotta per comprendere, giudicare e dare forma, poteva essere il precursore di un'Università che ancora non esisteva" (ivi, pagina 263). E con un'annotazione che dà a pensare in relazione a recenti polemiche italiane sulla mancata visita del Papa alla Sapienza così si esprime: "Va a favore dell'Università tedesca il fatto che Guardini poté trovarvi spazio con tutto il proprio cammino e la poté sentire sempre di più come dimora della propria particolare vocazione" (ibidem). Solo il nazismo gli tolse provvisoriamente la cattedra e, memore di quel tragico evento, dopo la guerra - sottolinea il Papa - Guardini in un intenso intervento accademico sulla questione ebraica difese in modo appassionato l'Università come il luogo dove si indaga sulla verità, dove gli affari e le vicende umane vengono misurati sui criteri del grande passato e senza l'assedio del presente, dove più dovrebbe essere desta la responsabilità per la comunità.
Non avrebbe trionfato il Terzo Reich, ci ricorda il Papa con le parole di Guardini, se l'Università tedesca non avesse conosciuto il suo "sfacelo" dovuto alla rimozione della questione della verità da parte dei modelli accademici dominanti: "Guardini ha preso posizione all'epoca, con un trasporto implorante che di solito sembrava essergli del tutto estraneo, contro la politicizzazione dell'Università e la sua penetrazione da parte della regia dei partiti, delle chiacchiere delle assemblee, del chiasso della strada e ha gridato ai suoi ascoltatori: "Signore e Signori: non permettetelo! Si tratta di qualcosa che riguarda ciò che è comune a tutti noi, la storia futura"" (ivi, pagina 264).
(©L'Osservatore Romano - 10 settembre 2008)
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