25 agosto 2008

Vasta eco per le parole di Benedetto XVI sul pericolo dei nazionalismi. Intervista al prof. Giovagnoli (Radio Vaticana)


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Vasta eco per le parole di Benedetto XVI sul pericolo dei nazionalismi. Il prof. Giovagnoli: l'appello del Papa sia raccolto dalla diplomazia internazionale

Preoccupazione per il risorgere dei nazionalismi, che rischiano di suscitare nel mondo antiche paure, ed esortazione accorata a ripudiare la violenza in favore di altri strumenti più idonei a costruire la pace ad ogni latitudine.
Le parole pronunciate ieri all’Angelus da Benedetto XVI hanno suscitato una eco vastissima. Il Papa ha invitato ogni Paese a “costruire relazioni feconde e sincere”, per assicurare alle generazioni presenti e future “tempi di concordia e di progresso morale e civile”. Alessandro De Carolis ha chiesto un’opinione in merito al prof. Agostino Giovagnoli, docente di storia contemporanea all’Università Cattolica di Milano:


R. – Dal punto di vista storico, c’è indubbiamente il peso di un’esperienza che è poi quella dell’Europa del '900 alla quale lo stesso Benedetto XVI fa riferimento: e cioè ai danni, ai pericoli gravissimi che il nazionalismo è stato in grado di portare alla pace in Europa, che oggi sembrano inaspettatamente riemergere all’inizio del XXI secolo.

D. - Dietro questa impennata dei nazionalismi, che Benedetto XVI stigmatizza, secondo lei cosa c’è? Siamo davvero a rischio, come dicono alcuni, di un ritorno al passato, di una nuova deriva di guerra fredda?

R. - I ritorni al passato sono improbabili nella storia, però il pericolo è grave, questo indubbiamente sì. Tuttavia, parlale di "guerra fredda" è fuorviante: non c’è dubbio che siamo in presenza di una tensione crescente - il Papa usa questa parola, giustamente - che rischia di essere molto destabilizzante per quanto riguarda la pace in Europa e nel mondo. Nel Caucaso, ci sono questioni molto antiche, il pericolo nazionalista è endemico, come del resto anche nei Balcani. Il vero problema è quando si alterano improvvisamente degli equilibri con interventi anche esterni che possono far divampare la tensione in modo molto rapido. E da questo punto di vista occorre, come dice il Papa, fare una scelta di combattere il pessimismo e di far crescere la fiducia e poi di operare, instancabilmente, attraverso la via delle trattative, senza mai affermare nessun principio in modo assoluto, fosse quello dell’autodeterminazione dei popoli o altri ancora.

D. - A questo proposito, ieri il Papa ha detto di evitare di affrontare le nuove situazioni con vecchi sistemi, indicando, per l’appunto, direi alla diplomazia internazionale, le strade della forza del diritto, dell’equità nei negoziati. Che valore hanno questi principi, secondo lei, nelle crisi che sono in atto oggi?

R. - Io credo che sia molto opportuno richiamare questi principi. Le diplomazie si sono mosse male nella crisi del Caucaso: o seguendo simpatie ideologiche, oppure logiche geopolitiche piuttosto discutibili. Quando il Papa parla della pace, dell’unità della famiglia umana, delle Nazioni, non sono solo affermazioni di principio: sono anche obiettivi di grande respiro che purtroppo le diplomazie sembrano smarrire, perdendosi in una quotidianità, in un giorno per giorno, che poi, alla fine, rischia di aumentare le tensioni.

D. - Lei, prima, ha ricordato che Benedetto XVI ha invitato all’ottimismo. Molti altri analisti internazionali sono invece pessimisti sui destini della pace del pianeta. Qual è la sua visione?

R. - Io credo che il Papa sia realista, quindi, in questo senso, non è che si faccia illusioni, ma proprio il realismo, in un certo senso, è ciò che spinge a combattere il pessimismo. Perché con la guerra - che è lo spettro che si aggira - “tutto è perduto” diceva Pio XII. E dunque, l’ottimismo è sì una scelta della volontà, ma è anche una risposta realistica alla gravità dei problemi sul tappeto.

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