3 luglio 2007
"Gesu' di Nazaret": il Papa "sdogana" il teologo Michel Willam
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Franz Michel Willam, il teologo che il papa ha tirato fuori dall'oblio
Autore nel 1932 di una celebre vita di Cristo, era stato da tutti dimenticato. Benedetto XVI lo cita in "Gesù di Nazaret" e uno studioso austriaco spiega perché. Sulla base di un carteggio inedito tra i due
di Sandro Magister
ROMA, 3 luglio 2007 – Nella prime righe della prefazione a "Gesù di Nazaret", Benedetto XVI ricorda che al tempo della sua giovinezza, negli anni Trenta e Quaranta, "vennero pubblicati una serie di libri entusiasmanti su Gesù".
E fa i nomi di alcuni autori: Romano Guardini, Karl Adam, Daniel Rops, Giovanni Papini, Franz Michel Willam.
I primi quattro, e ancor più i primi due, sono tuttora abbastanza noti e letti. Ma l'ultimo no. Franz Michel Willam (1894-1981) è oggi un nome ai più sconosciuto. Caduto nell'oblio.
E allora perché Joseph Ratzinger lo cita?
Nel "lungo cammino interiore" che ha portato Ratzinger a scrivere "Gesù di Nazaret" Willam non sembrerebbe essere un autore di riferimento. Lo sono molto di più Guardini, Henri De Lubac, Rudolf Schnackenburg e il rabbino ebreo Jacob Neusner.
Del filosofo e teologo italo-tedesco Guardini si ritrova nell'attuale papa l'idea della centralità della Chiesa per avvicinarsi realmente a Gesù, in ogni tempo e in ogni luogo, attraverso l'eucaristia e gli altri sacramenti.
Dal teologo francese De Lubac Ratzinger ha attinto la profonda conoscenza del pensiero dei Padri e l'intuizione dell'unione tra l'Antico e il Nuovo Testamento.
Col grande esegeta tedesco Schnackenburg il papa ha in comune la convinzione che il metodo storico-critico da solo non basta per comprendere la piena identità di Gesù.
Tra il rabbino Neusner e Ratzinger il dialogo è addirittura proseguito nelle pagine di "Gesù di Nazaret" e anche dopo, come ha riferito www.chiesa in un servizio dello scorso 11 giugno.
Willam, invece, nel libro è citato una sola volta, all'inizio. E poi sembra che di lui non vi sia più traccia. Ma è davvero così?
Sull'ultimo numero di "Vita e Pensiero", la rivista dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, è uscito un articolo che scioglie l'enigma.
Ne è autore il giovane teologo Philipp Reisinger, austriaco come Willam.
Egli cita un carteggio degli anni Sessanta tra Ratzinger e Willam e mette in luce come i due avessero in comune la convinzione che il segreto della grande teologia cristiana – quella che sa parlare non solo ai dotti – è "la semplicità", è "lo sguardo chiaro sull'essenziale".
Semplicità ed essenzialità che Ratzinger ha voluto imprimere in ogni pagina del suo "Gesù di Nazaret".
Ecco l'articolo apparso su "VIta e Pensiero" n. 3, 2007:
Ratzinger e il "cappellano" teologo. Un carteggio inedito
di Philipp Reisinger
L’austriaco Franz Michel Willam è oggi certamente la personalità meno conosciuta tra gli autori citati da Benedetto XVI nella prefazione del suo libro “Gesù di Nazaret”.
Chi era? E perché il papa lo ricorda? Solo a pochi è noto il carteggio, conservato nel convento di Thalbach a Bregenz, in Austria, tra l’allora professore universitario Joseph Ratzinger e Franz Michel Willam, di lui più vecchio di 33 anni.
I due furono in stretto contatto in particolare negli anni 1967 e 1968. Uno dei motivi era il libro di Willam “Vom jungen Roncalli zum Papst Johannes XXIII. [Dal giovane Roncalli a papa Giovanni XXIII]”, edito nel 1967, e l’articolo di Ratzinger “Was heißt Erneuerung der Kirche? [Cosa significa il rinnovamento nella Chiesa?]” apparso un anno prima sulla rivista “Diakonia”.
In quest’ultimo testo si trova scritto: “La vera riforma è quella che si occupa di ciò che è autenticamente cristiano, che si lascia provocare e formare da esso”. La vera riforma, il vero rinnovamento richiede semplicità. “Rinnovamento è semplificazione”: così Ratzinger sintetizzava efficacemente la sua tesi.
Willam, che aveva scoperto e fatto emergere la semplicità come idea dominante in papa Giovanni XXIII, riportava così – in una lettera al vescovo Paulus Rusch – quello che per lui era il passaggio centrale dell’articolo di Ratzinger:
“La teoria della semplicità trova in Joseph Ratzinger la seguente versione: esiste la semplicità della comodità, che è la semplicità dell’imprecisione, una mancanza di ricchezza, di vita e di pienezza. Ed esiste la semplicità dell’origine, che è la vera ricchezza. Rinnovamento è semplicità, non nel senso di una selezione o riduzione, bensì una semplificazione nel senso di un diventar-semplice, del muoversi verso quella vera semplicità che è il mistero dell’esistente”.
Il 22 maggio 1967 Willam scrive a Ratzinger:
“Ho svolto una ricerca sulle concordanze nei cinque volumi contenenti i discorsi e i documenti del pontificato. Le parole ‘semplice’ e ‘semplicità’ sono le parole-chiave più ricorrenti in assoluto. Giovanni XXIII le intende certamente nello stesso modo in cui le intende lei: studiare la cosa in maniera precisa e porsi la domanda: come lo devo esprimere, in modo che la gente capisca il risultato?”.
“In questi giorni ho ricevuto il suo libro su papa Giovanni XXIII. L’ho già letto qua e là e lo trovo davvero emozionante”, è la risposta del professor Ratzinger dopo aver ricevuto il volume.
Ratzinger, in quanto nuovo decano della Facoltà teologica di Tubinga, scrisse una lunga e particolarmente benevola recensione del libro di Willam su “Theologische Quartalschrift”, 6, 1968:
“Senza dubbio questo libro può essere definito come la pubblicazione sin qui di gran lunga più importante per illuminare la figura di Giovanni XXIII. Allo stesso tempo è di fondamentale importanza per la comprensione del Concilio Vaticano II. Il libro si staglia ampiamente al di sopra della moltitudine di ciò che è stato scritto in questi contesti, e ciò attraverso la completezza delle sue informazioni e l’evidenza dei collegamenti. [...] L’autore, quindi, merita un ringraziamento senza riserve per il suo paziente lavoro, e non ultimo anche perché ha saputo dire molte cose in spazi contenuti”.
Willam fu davvero felice di questa recensione, e la citò in quasi tutte le lettere che scrisse nelle settimane dopo la sua pubblicazione. A un amico scrisse: “Si ha l’impressione che nel suo argomentare Ratzinger abbia in mente diversi dialoghi avvenuti durante il Concilio Vaticano II, anche con non cattolici come Oscar Cullmann”.
Willam nutrì una grande ammirazione per il professor Ratzinger e gli chiese consiglio in molti frangenti, lasciandosi correggere e consigliare da lui con semplicità, malgrado la rilevante differenza d’età. Nella già citata lettera, del 22 maggio 1967, tra le altre cose egli chiedeva al professore aiuto per una pubblicazione riguardante John Henry Newman, e concludeva la missiva con un complimento commosso:
“Poiché non conosco alcun teologo che nel pensare sia vicino a Giovanni XXIII quanto lei – la comune parola-chiave ‘semplicità’ lo testimonia oggettivamente – rivolgo questa richiesta proprio a lei”.
La semplicità, così profondamente decisiva per Willam, si esprimeva anche nel fatto che egli non si sentì mai chiamato a formulare una propria particolare teologia. Piuttosto desiderò cogliere i segni dei tempi ed essere testimone dell’eterno nel contesto di tutti i cambiamenti che avvenivano nell’arco della sua vita.
Anche qui è visibile una comunanza con Ratzinger, il quale affermò una volta:
“Non ho mai cercato di fondare un particolare sistema, una teologia speciale. Intendo semplicemente pensare insieme alla fede della Chiesa, e ciò significa anzitutto pensare insieme ai grandi pensatori della fede. Non si tratta di una teologia isolata e proveniente da me stesso, bensì di una teologia che si apre nella maniera più allargata possibile al comune cammino di pensiero della fede”.
Franz Michel Willam nacque il 14 giugno 1894 a Schoppernau nel Vorarlberg, figlio di un calzolaio e barcaiolo, dunque in un contesto semplice. Col nonno materno, il poeta patriottico Franz Michel Felder, condivideva non solo il nome, ma anche l’amore per la propria patria e il proprio popolo, lo slancio per la scrittura e la ricerca, nonché una miopia tendente quasi alla cecità.
Nel 1917 Willam venne ordinato sacerdote a Bressanone, e nel 1921 divenne dottore in teologia. Dopo alcune esperienze pastorali, gli venne attribuito il ruolo di cappellano ad Andelsbuch, dove fu attivo come pastore e come studioso sino alla morte, il 18 gennaio 1981.
Ricercato e stimato da molti, lo scrittore, scienziato e antropologo volle sempre essere chiamato “cappellano”, poiché questo nome esprimeva ciò che egli era e volle sempre essere: un sacerdote e pastore.
La vita di Willam fu modesta e tra la gente, nonché profondamente radicata nella tradizione cattolica. Nonostante vivesse nel solitario bosco di Bregenz, egli rimase in continuo contatto col mondo scientifico della teologia, in particolare con molti studiosi newmaniani. Era capace allo stesso modo di discutere di agricoltura montana con le persone che incontrava nelle sue molte passeggiate, così come, nel suo studio pieno di montagne di libri, di leggere senza problemi autori inglesi, francesi, spagnoli, italiani, latini e greci senza l’ausilio di un dizionario. Gli erano familiari moderni scienziati della natura come Heisenberg al pari dei filosofi greci Platone e Aristotele.
Tra le altre cose, Willam riuscì a dimostrare che la gnoseologia di Newman aveva derivazione aristotelica molto più che platonica. Questa teoria – all’inizio fortemente osteggiata nella cerchia degli esperti – venne più tardi universalmente accettata, e il semplice cappellano divenne così uno specialista newmaniano di riconosciuto successo.
L’opera di Willam comprende 33 libri e 372 scritti – poesie, racconti, saggi, recensioni – pubblicati in 79 differenti riviste.
Il volume del 1932 “Das Leben Jesu im Lande und Volke Israels [La vita di Gesù nel territorio e nel popolo d’Israele]”, pubblicato in dieci edizioni e tradotto in dodici lingue, è il suo capolavoro, un vero e proprio bestseller del suo tempo, che rese Willam celebre internazionalmente.
Per la scrittura di questo libro Willam studiò a fondo la storia giudaica e osservò da antropologo per molti mesi gli usi e i costumi in Palestina.
La sua “Vita di Gesù”, scritta prima dell’affermarsi dell’esegesi storico-critica della Bibbia, non si occupa della questione della storicità dei Vangeli e delle varie fonti linguistiche e idiomatiche della Sacra Scrittura. Il suo scopo consiste puramente e semplicemente nel presentare al lettore la vita e dunque la persona di Gesù partendo dai Vangeli, il cui contenuto egli riempiva di vivacità attraverso le conoscenze derivanti dai suoi studi antropologici.
Quando Willam parla di Gesù, allo stesso tempo egli ci sta dando una lezione “di sguardo” nel vero senso della parola: ci fa vedere, sentire e percepire come il Signore ha vissuto e operato.
Willam non è un mero teorico che elabora il suo pensiero indipendentemente dagli accadimenti concreti e dunque allontanandosi progressivamente dalla realtà. Non scrive solo per una cerchia di specialisti. La sua urgenza è la formazione religiosa del popolo. Questa urgenza deriva dal suo particolare amore e dalla sua particolare vicinanza all’uomo semplice; gli riuscì di unire uno spirito lucido a un linguaggio lineare e comprensibile.
Un biografo di papa Benedetto XVI ha scritto: “La semplicità gli appartiene. Un distacco altezzoso non è mai stata la sua caratteristica, per quanto fossero complesse le problematiche teologiche affrontate”.
Il frutto della semplicità è lo sguardo chiaro sull’essenziale. E proprio questo Willam condivideva con Ratzinger, il quale citandolo nella prefazione a “Gesù di Nazaret” lo preserva giustamente dall’oblio.
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La rivista dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano su cui è uscito l'articolo di Philipp Reisinger:
> Vita e Pensiero
www.chiesa
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