22 novembre 2007
Mons. Bagnasco: "La mia porpora per l’Italia"
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Bagnasco: la mia porpora per l’Italia
Il presidente della Cei: dal Papa una grande benevolenza
DI FRANCESCO OGNIBENE
La scena pubblica che improvvisamente si è rimessa in movimento, ma anche il legame della Chiesa con il Paese e le sorprendenti frontiere che si sono appena schiuse nella ricerca sulle cellule staminali. Gli appunti di monsignor Angelo Bagnasco non si limitano all’imminente cerimonia nella quale, sabato mattina, Benedetto XVI gli imporrà la berretta cardinalizia, ma si aprono alle grandi questioni che si stanno imponendo nell’agenda dell’attualità. E che ovviamente premono anche in questo colloquio alla vigilia del suo ingresso nel Collegio dei cardinali.
Monsignor Bagnasco, negli ultimi mesi, attraverso le prolusioni al Consiglio permanente della Cei e all’assemblea generale dei vescovi, lei ha allacciato un vero e proprio dialogo con l’Italia. Come si sta sviluppando?
Mi muove il desiderio di parlare insieme ai miei confratelli vescovi, al popolo cristiano, alla società italiana e a tutto il Paese. Il magistero del Papa ci ricorda che la Chiesa non ha competenza sulla vita dei partiti e sulla gestione della politica. D’altra parte essa ha a cuore il destino e la prosperità dei popoli, e dunque anche di quello italiano. Nell’ultima prolusione, in settembre, ho parlato di 'Paese spaesato' e di un’Italia che merita 'un amore più grande'. Questo riguarda ogni cittadino, e in particolare i credenti, ma in maniera del tutto specifica i detentori delle responsabilità politiche che devono essere di esempio a tutta la società italiana. L’Italia ha bisogno di ritrovare se stessa, di saper guardare con fiducia e atteggiamento positivo al proprio futuro nel concerto dei popoli. Per ritrovare speranza occorre uscire dalla palude delle parole e pervenire col massimo grado di concordia a quelle decisioni sul piano istituzionale e strutturale che veramente possono rimettere il Paese in carreggiata. I cittadini – e in particolare i più poveri – da troppo tempo aspettano segnali di verità, di rinnovamento e di concretezza.
Lei ha sfiorato il tema della politica nazionale, che attraversa un periodo di riassestamenti con formazioni ed equilibri inediti. Che idea si è fatta del nuovo quadro che si va profilando?
Sulla nascita e sui movimenti dei partiti non ho da dire nulla in particolare. Di certo sul piano dei valori fondamentali che riguardano la dignità umana – dalla famiglia alla vita, dalla vera libertà educativa alla povertà – la Chiesa avrà sempre una parola serena ma anche chiara e decisa da dire, a chiunque e a qualsiasi partito.
Nella prolusione al Consiglio permanente di settembre lei aveva sottolineato la necessità che il Paese si riappropriasse di un ethos condiviso. Da dove si può cominciare?
Dal senso comune! Non possiamo naturalmente chiedere che un Paese pluralista riparta da una posizione di fede. Ma a preoccupare oggi è soprattutto lo smarrimento del buon senso su realtà fondamentali come la natura umana. Certe voci che contestano il senso comune godono di un’eco pubblica sproporzionata al punto che sembrano esaurire il pensiero diffuso tra la gente. Ma non è così: il pensare comune è basato sul buon senso, su un’intuizione profonda dei valori veri e delle cose che contano nella vita reale, senza ideologie né sovrastrutture o interessi particolari. La Chiesa conosce la vita concreta della gente perché ci vive in mezzo. Nella visita pastorale resto ammirato dalla conoscenza diretta, capillare e sistematica della società e dei quartieri da parte di parrocchie e istituzioni cattoliche. Altre ottiche sono inconcludenti, non costruiscono e, anzi, frantumano il senso comune.
Un tema che si è imposto nella cronaca di questi giorni è quello delle cellule adulte riprogrammate in modo da renderle utilizzabili per rigenerare tessuti umani. Un successo clamoroso della ricerca, che sui giornali italiana ieri ha trovato un’eco incredibilmente minima. Cosa ne pensa?
Dispiace molto che la stampa non metta in rilievo scoperte di questa portata, che incoraggiano tutti – e in particolare gli scienziati – a procedere sulla strada della ricerca responsabile. Qualcuno ha pensato che rispettare i confini etici significhi mettere il rallentatore alla scienza, ma è vero il contrario. Con l’etica la ricerca progredisce, semmai fa passi da gigante, come stanno dimostrando questi ultimi esiti. Sul fronte delle staminali embrionali, su cui in questi anni molti hanno voluto intestardirsi, di fatto non sono stati raggiunti risultati concreti nonostante i grandi investimenti. Invece sulle staminali adulte si affacciano scenari promettenti, di grande sollievo per l’umanità afflitta da patologie finora incurabili. Quindi siamo di fronte a una grande speranza per molti malati e a un richiamo a non essere tanto testardi nell’insistere su una certa scelta pensando ideologicamente che etica significhi oscurantismo e umiliazione della scienza.
In una battuta: la Chiesa dunque aveva ragione?
Non direi così: non vogliamo 'spuntarla' ma servire l’uomo nella verità. Dispiace che in nome della scienza si vada contro il vero bene dell’uomo. Si può servire l’uomo nella verità della dimensione morale, come la Chiesa sostiene da sempre. E quando ci sono fatti che lo confermano si può dire che siamo veramente contenti. Per tutti.
Tra poche ore il Papa le imporrà la berretta cardinalizia. Quali pensieri la accompagnano in questa vigilia?
Anzitutto provo gratitudine verso il Santo Padre per questo suo ulteriore atto di fiducia e di stima. Ma allo stesso tempo sperimento la trepidazione per le nuove responsabilità legate alla dignità cardinalizia: si tratta di entrare in un vincolo ancor più stretto di comunione e di collaborazione con il Papa e con il suo ministero universale. Si tratta di aiutarlo insieme ai confratelli del Collegio cardinalizio, con un amore ancora più grande verso la Chiesa e tutto l’episcopato.
Cosa 'aggiunge' la porpora cardinalizia al suo ministero episcopale?
Un vincolo ulteriore e particolarissimo con la sede di Pietro. Come ho già detto a tanti sacerdoti e comunità della mia diocesi in queste settimane, mi sento chiamato a una prospettiva più universale nello svolgimento della mia missione a Genova. Il Collegio cardinalizio deve avere uno sguardo ampio su tutta la Chiesa. Questa sensibilità rinnovata deriva proprio dall’ufficio di cardinale: è il quid che si deve aggiungere al ministero episcopale diocesano.
Nelle parrocchie lei incontra moltissima gente. Cosa le dice?
Ah, sono tutti molto contenti, e non solo i cattolici ma anche chi non frequenta e i non cristiani. Ovunque avverto grande partecipazione, molti esprimono la loro gioia per quello che viene vissuto come un onore per la diocesi e la città, non solo per il loro vescovo. Mi ha colpito poi la mobilitazione di tanti per essere sabato a Roma: un piccolo sacrificio, del quale sono molto grato. Verranno quattro pullman anche da Pesaro. Sarà davvero una gioia saperli insieme a me con il Papa.
E per il presidente della Cei ricevere la porpora cosa significa?
È anzitutto un grande atto di benevolenza e di attenzione del Santo Padre verso l’episcopato italiano. Investendo della porpora il suo presidente, il Papa mostra la sua particolare stima verso tutti i vescovi italiani. E da parte nostra questo momento si può tradurre in una rinnovata adesione affettiva e reale a Pietro per il suo magistero.
Dall’ingresso a Genova a questa prestigiosa nomina passa poco più di un anno. Un anno nel quale la sua storia personale ha subìto una sorta di accelerazione... Come ha vissuto questi passaggi tanto serrati?
Con grande sorpresa, e certo con fede, perché il Signore ha strade e tempi che evidentemente non sono i nostri.
La simbologia della porpora è nota ed esplicita: fedeltà e disponibilità a servire fino al sangue, se necessario. Cosa vuol dire oggi servire la Chiesa sino a questo punto?
Questa disponibilità non va intesa solo come un’evocazione: il servizio è una nota costitutiva della vita cristiana, ma oggi mi pare necessario ricordare la dimensione del martirio, che implica il fatto di mettere la propria vita a disposizione del Signore per restare fedeli al Vangelo, alla Chiesa e all’uomo. La porpora richiama la necessità di questa disposizione del cuore. Certo, il servizio e la testimonianza implicano anche altre forme di martirio: penso a modi che hanno a che fare con il cuore, l’intelligenza, la perseveranza, la fedeltà ai doveri quotidiani...
Quale le sembra la forma più attuale di questa disponibilità a 'dare tutto'?
La capacità di andare contro corrente con serenità, umiltà e perseveranza. Questo, del resto, è ciò che chiede il Vangelo.
Di recente lei ha avviato la visita pastorale nella sua diocesi. Quale realtà sta trovando?
Incontro comunità fedeli al Signore e alla Chiesa, che faticano, certo, perché la realtà è disorientante e c’è poco senso di appartenenza, ma mostrano un’ammirevole determinazione. Vedo anche uno straordinario fervore di servizio attraverso una miriade di iniziative di evangelizzazione e carità in sé anche piccolissime ma che insieme costituiscono un robusto tessuto a disposizione di tutti. Penso al gran numero di mense che ogni giorno servono centinaia di pasti, un impegno in grande crescita rispetto a qualche anno fa. Oggi stanno dilagando bisogni essenziali, come la ricerca del lavoro, della casa, o anche solo di poter tirare la fine del mese. Ma c’è anche tanta gente sistemati-
«Servire e testimoniare il Vangelo chiama in causa il cuore e l’intelligenza. È la disponibilità ad andare controcorrente con serenità, perseveranza e umiltà nella fedeltà ai doveri quotidiani» «Niente da dire sui nuovi partiti. Ma sui valori della dignità umana, dalla famiglia alla vita, dalla libertà educativa alla povertà, la Chiesa avrà sempre una parola serena ma anche chiara e decisa»
© Copyright Avvenire, 22 novembre 2007
GESTI E PAROLE
Genova e Pesaro strette attorno al «loro» arcivescovo
Adriano Torti e Pierpaolo Bellucci
Genova e Pesaro si stringeranno attorno al «loro» vescovo, Angelo Bagnasco, che sabato riceverà la porpora durante il Concistoro che si terrà a Roma.
Saranno più di 300 i fedeli dell’arcidiocesi di Genova, guidata da Bagnasco da poco più di un anno, che si recheranno a Roma per partecipare all’evento. L’agenzia di viaggi diocesana «La via» ha già organizzato quattro pullman sui quali viaggeranno sacerdoti, fedeli ed alcuni giornalisti. Circa cinquanta fedeli, invece, si recheranno a Roma con mezzi propri. Inoltre, una trentina di giovani del servizio diocesano di pastorale giovanile raggiungerà la capitale in treno. Ma in San Pietro sabato non mancherà neppure Pesaro. Il legame che unisce la città ad Angelo Bagnasco (arcivescovo sull’Adriatico dal 1998 al 2003), sarà infatti rinsaldato in occasione della consegna della porpora cardinalizia, cui parteciperà una delegazione di 200 persone dall’arcidiocesi marchigiana. Un affetto che ha circondato il presule anche in occasione della sua ultima visita a Pesaro: lo scorso 31 agosto 2.500 persone hanno partecipato alla Messa presieduta dal presidente della Cei a Pesaro in occasione dell’Agorà dei giovani italiani e la notizia del Concistoro è stata accolta con gioia dall’intera città. A Genova, intanto, Bagnasco ha chiesto a tutti i fedeli di stringersi a lui «nella preghiera e nell’affetto ulteriore».
«Ho già ricevuto moltissimi segni di vicinanza da parte della mia gente e dei miei sacerdoti – ha detto – e so che un cospicuo numero di persone vorrà essere presente accanto a me nel momento del Concistoro e per questo sono loro grato». Il presule ha poi chiesto a quanti desiderano fargli un omaggio non regali personali ma un sostegno al «Convitto ecclesiastico», la struttura diocesana che ospita i sacerdoti anziani od ammalati impossibilitati ad esercitare il loro ministero pastorale. L’accoglienza ufficiale della città di Genova al neo cardinale è stata fissata per sabato 1dicembre, alle 15,30, nella Cattedrale di San Lorenzo.
© Copyright Avvenire, 22 novembre 2007
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1 commento:
Un augurio di tutto cuore a Mons. Bagnasco per la sua nomina a cardinale e soprattutto un augurio di Buon Lavoro e di collaborazione sempre crescente con il Santo Padre per il bene della chiesa e di tutti i suoi fadeli.
Eugenia
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