23 novembre 2007
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Il dibattito sull'evoluzione della specie tra scienza, filosofia e religione
Neodarwinismo e creazionismo scientifico: attenzione ai salti di corsia
Fiorenzo Facchini
L'evoluzione della vita e dell'uomo continua a interessare e a fare problema. L'interesse deriva non da pura curiosità intellettuale di conoscere la storia della vita e il modo con cui si è sviluppata la natura, ma dalle possibili ricadute che possono esserci sulla concezione dell'uomo, dalle domande che possono sorgere. Il problema può essere infatti affrontato su due piani o versanti: quello scientifico, che si avvale delle metodologie della scienza, e quello filosofico-religioso che affronta possibili domande sul significato delle cose e dell'uomo.
Il versante scientifico
Nel mondo scientifico l'evoluzione viene considerata come realmente avvenuta. In biologia nulla ha senso, affermava Dobzhansky, se non alla luce dell'evoluzione. Giovanni Paolo II nel noto messaggio alla Pontifica Accademia delle Scienze del 22 ottobre 1996 riconosceva che oggi si può parlare di teoria scientifica dell'evoluzione e non più di ipotesi.
Benedetto XVI in un incontro con i sacerdoti delle diocesi di Belluno e Treviso del luglio scorso, ad Auronzo, così si esprimeva: "Ci sono tante prove scientifiche in favore di una evoluzione che appare come una realtà che dobbiamo vedere e che arricchisce la nostra conoscenza della vita e dell'essere in quanto tale"; nello stesso tempo affermava che la dottrina dell'evoluzione non può rispondere a tutti i quesiti, soprattutto a quelli di senso.
La interpretazione evolutiva è coerente con quanto viene messo in evidenza in vari settori della scienza (paleontologia, zoologia, anatomia comparata, paleoantropologia, genetica evolutiva, genetica molecolare, e così via), anche se, come tutti i fenomeni di ordine storico, non è verificabile nei vari passaggi. Tuttavia a livello di popolazioni è oggi documentabile.
Quanto alla spiegazione delle modalità e dei meccanismi il discorso è tutto aperto. La spiegazione suggerita da Charles Darwin, che attribuisce l'evoluzione a piccole variazioni che si formano spontaneamente, senza alcun orientamento preferenziale, e successivamente vengono selezionate dall'ambiente, rivista alla luce della genetica moderna (neodarwinismo), ha una sua plausibilità, almeno a livello microevolutivo. La genetica di popolazioni si fonda su tale interpretazione. All'origine delle mutazioni sta la casualità. Ma non bastano piccole variazioni. La sua estensione a tutto il processo evolutivo, spiegando in questo modo la formazione delle varie direzioni evolutive e delle strutture complesse per errori nella replicazione del DNA, fa problema per alcuni scienziati. Vengono supposte e cercate anche altre modalità, senza dire che per il livello prebiotico occorrerebbe pensare ad altra soluzione.
Bisogna fare i conti con le vedute moderne della genetica: vi sono geni multifunzionali, geni regolatori di piani organizzativi, geni architetti (geni Hox) che regolano varie parti del corpo (es. regione cervicale, toracica, addome, arti) in diverse classi (dalla drosofila ai mammiferi). Sono segnalati effetti di trascinamento di una singola mutazione su vari organi. Sono quindi da ammettere vincoli entro i quali possono avere successo certi cambiamenti, anche casuali, per non parlare della necessaria coincidenza con un ambiente favorevole. L'evoluzione sembrerebbe incanalata e non del tutto casuale. Si aggiungano i casi di evoluzione convergente o parallela in linee evolutive lontane nello spazio o anche nel tempo, su cui è stata richiamata l'attenzione da Conway Morris in base allo studio dei fossili. Sono descritti influssi epigenetici, cioè di fattori esterni, sulla espressione dei geni con effetti che si trasmettono alla discendenza senza che si abbiano variazioni nelle sequenze del DNA (secondo Jablonka e Lemb). C'è chi propone forme di neolamarckismo, come influsso di fattori esterni su mutazioni in cellule somatiche che poi passano nella linea germinale.
Lo schema darwiniano va ripensato e integrato. Molto onestamente lo scienziato laico Massimo Piattelli Palmarini qualche giorno fa al Festival della Scienza di Genova riconosceva la necessità di ripensare l'evoluzione e il darwinismo alla luce delle scoperte della genetica, e parlava paradossalmente di evoluzione senza adattamento.
Il versante filosofico-religioso
L'altro versante su cui può svilupparsi il dibattito sull'evoluzione è quello filosofico-religioso.
A questo riguardo l'armonia che si osserva nelle leggi e nelle proprietà della materia e dei viventi rivela, come ha fatto notare Benedetto XVI in varie occasioni, particolarmente nel discorso all'Università di Ratisbona dello scorso anno, una razionalità che rimanda a una mente ordinatrice. Effettivamente a livello subatomico, molecolare, cellulare, come nel moto dei corpi celesti, si rivela una fine sintonia fra la diverse forze che non può essere casuale. È una conclusione ragionevole, anche se non è dimostrabile con le metodologie della scienza empirica. In base alle osservazioni della natura non si può negare la suggestione di un progetto. La Rivelazione parlando di creazione conferma e dà un significato più ampio a questo progetto che chiamerei superiore (meglio che intelligente), perché non si esaurisce nella natura e include tutti i limiti della natura fisica (distruzioni, morte, e così via). Si dovrebbe quindi parlare di creazione di un mondo in evoluzione, come proposto da vari teologi e scienziati, un mondo cioè che ha in sé la capacità di evolvere con qualche significato.
Quanto alle modalità con cui si è formato e funziona il sistema della natura sta alla scienza indagare per quanto possano raggiungere i metodi che essa utilizza.
Nel suo intervento al seminario di Castelgandolfo di un anno fa - di cui stanno uscendo gli Atti - Benedetto XVI parla di una doppia razionalità: oltre a quella che si coglie nella materia, "anche il processo evolutivo è qualcosa di razionale, nonostante il suo errare e percorrere strade sbagliate lungo lo stretto corridoio nella scelta delle poche mutazioni positive e nello sfruttamento della poca probabilità". Questa razionalità rimanda a una ragione creatrice.
Dunque una razionalità non statica, ma dinamica che può includere anche la coincidenza di eventi casuali o connessi a varie cause indipendenti. Come ha osservato la Commissione Teologica Internazionale "la vera contingenza dell'essere creato non è incompatibile con una Provvidenza divina intenzionale. Persino l'esito di un processo naturale veramente contingente può ugualmente rientrare nel piano provvidenziale di Dio per la creazione" ("Comunione e servizio", 2004, n. 69).
L'evoluzione può essersi svolta sia attraverso eventi di tipo deterministico che eventi stocastici. Anche il caso potrebbe allora entrare nei processi evolutivi? Il caso come coincidenza di eventi favorevoli di varia natura, per quanto poco probabili o comunque imprevedibili? Il caso descritto dalle leggi della statistica? Non si vede perché si debba escludere questa possibilità, tanto più che ciò che chiamiamo caso doveva essere ben presente nella mente di Dio che è fuori dalla dimensione del tempo.
Le riflessioni presentate si sviluppano su due piani diversi, pur riguardando la medesima realtà. I problemi possono sorgere quando da un piano si passa all'altro in modo indebito, cioè utilizzando le proprie metodologie. È una operazione configurabile a "un salto di corsia".
È quello che avviene quando i darwinisti escludono per ragioni di ordine scientifico una causa efficiente superiore e un finalismo generale estendendo la supposta casualità a livello di mutazioni del DNA a tutto il sistema della natura o traendo dalla teoria darwiniana argomenti contro la creazione o la religione, come fanno Dawkins e altri darwinisti di casa nostra. Si compie in questo modo un'operazione scorretta, perché si va oltre la teoria della spiegazione dell'origine delle specie per mezzo della selezione naturale enunciata da Darwin. Si tratta di una estrapolazione. Forse a Darwin questo allargamento non dispiaceva, anche se non poteva nascondersi ciò che comportava. Bisogna riconoscere in esso una estrapolazione non scientifica, in cui non c'è più posto per un riferimento al trascendente.
Di per sé il darwinismo non obbliga ad essere atei. Vi sono darwinisti convinti che non lo sono. Così Francisco Ayala, autore di un saggio uscito nei mesi scorsi dal titolo "Darwin's Gift to Science and Religion", afferma che la scienza non implica il materialismo metafisico. Del resto la stessa posizione di Darwin sulla esistenza di Dio era alquanto ondeggiante. Nell'ultima edizione della sua Autobiografia parla di un Dio creatore, ma in un appunto del 1879 propende a definirsi agnostico, come poi farà anche il suo discepolo Thomas Huxley.
Una posizione simmetrica e opposta è quella che trasferisce dal piano filosofico o religioso modalità e metodi per spiegare eventi naturali che ancora non riusciamo a spiegare scientificamente. Il ricorso a interventi esterni per spiegare fenomeni che al momento la scienza non ha ancora chiarito, ma che possono rientrare nell'ambito della scienza, non è corretto. È quello che fanno i sostenitori del cosiddetto creazionismo scientifico, una infelice espressione di ambiente americano che ha trovato la sua ultima versione nella teoria dell'"Intelligent Design". Il biochimico Michael Behe, grande sostenitore del carattere scientifico della teoria, nella sua pubblicazione The edge of evolution uscita nei mesi scorsi, ritorna sull'argomento, accetta la mutazione casuale e la selezione per specie vicine - a livello microevolutivo - ma ritiene che "la maggior parte delle mutazioni che realizzano le grandi strutture della vita debbono essere state non casuali" e quindi richiedono una causa esterna al processo evolutivo di tipo darwiniano nell'attuazione di un progetto intelligente. Ma il rifiuto di questa modalità evolutiva, perché non convincente, non implica che si debba andare a cercare una causa esterna al processo evolutivo presentandola come spiegazione scientifica. Le cause vanno ricercate all'interno del sistema della natura. Una causa esterna, identificabile senza difficoltà nel Creatore, lo configurerebbe come tappabuchi della nostra ignoranza che può essere provvisoria e colmata da nuove conoscenze. Il ricorso a una causa esterna che di tanto in tanto interviene direttamente a orientare l'evoluzione in certe direzioni non appare corretto e non è scientificamente dimostrabile. Ciò non significa che l'ordine della natura nel suo insieme non faccia appello a una causa superiore secondo un progetto. Ma legarlo alla teoria dell'"Intelligent Design" è fuorviante.
La razionalità del sistema voluta dal Creatore è dinamica e può includere la sua capacità di evolvere, eventualmente con principi di ordine interni alla materia vivente che ancora non conosciamo.
Diverso è il caso della comparsa dell'uomo. L'elemento spirituale che lo caratterizza impedisce che la sua comparsa possa essere attribuita unicamente a potenzialità della materia vivente e richiede un concorso particolare di Dio.
(©L'Osservatore Romano - 23 novembre 2007)
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