24 ottobre 2008

La dichiarazione finale della Conferenza islamo-cristiana di Bruxelles/Malines (Sir)


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La dichiarazione finale della Conferenza islamo-cristiana di Bruxelles/Malines

"Cristiani e musulmani sono chiamati a lavorare fianco a fianco nel modo più opportuno collaborando con lo Stato di cui fanno parte senza tuttavia essere asserviti ai governi. Crediamo che le comunità religiose e lo Stato debbano lavorare insieme per il bene comune". Dunque "no" ad un confinamento della religione alla sfera personale delle persone e alla "richiesta di rinunciare alla propria identità religiosa" attraverso, per esempio, "il divieto di portare o esporre simboli religiosi in pubblico o la soppressione delle festività religiose con il pretesto che tutto ciò possa urtare la sensibilità degli altri credenti o andare contro i principi di uno Stato secolare". Nella dichiarazione finale della Conferenza europea islamo-cristiana promossa congiuntamente dal Ccee e dalla Kek, su "Essere cittadino di Europa e persona di fede. Cristiani e musulmani come partner attivi nelle società europee", che si è chiusa il 23 ottobre a Bruxelles/Malines i 45 rappresentanti cristiani e musulmani, di 16 nazioni europee, hanno così voluto ribadire tutta la loro volontà di dialogo e di collaborazione con lo Stato ma senza rinunciare alla propria dimensione religiosa. "Come cristiani e musulmani - si legge nel testo - affermiamo che siamo cittadini e credenti, non cittadini o credenti. Crediamo che il futuro delle società europee dipenderà in larga misura dalla nostra volontà come cittadini e persone di fede di preservare e sviluppare le fondamenta culturali e religiose dell'Europa".

Di seguito il testo integrale della dichiarazione finale (nostra traduzione).

Questa Conferenza ha riunito 45 musulmani e cristiani provenienti da 16 Paesi europei. L'incontro è stato organizzato dal Comitato congiunto per le relazioni con i musulmani in Europa, costituito dal Consiglio delle Conferenze episcopali europee e dalla Conferenza delle Chiese europee. L'evento ha avuto luogo nell'ambito dell'Anno europeo del dialogo interculturale e in occasione del 60° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani. Si è svolto dal 20 al 23 ottobre 2008 ed è stato finanziato dall'Unione europea.
Come cristiani e musulmani, ci siamo riuniti qui nella città di Mechelen in Belgio per discutere sul tema: "Essere un cittadino europeo e una persona di fede".
L'Europa ha subìto un processo di profonda trasformazione, da cui sta riemergendo come una società eterogenea, interetnica, interculturale e interreligiosa. Questo è accaduto in parte a causa delle migrazioni, sia all'interno che dall'esterno.
Alcuni Paesi europei hanno Chiese di Stato, altri no. Tutti, in ogni caso, dal punto di vista ideologico hanno assunto una posizione decisamente neutrale nei confronti della religione. Tale atteggiamento ha portato a una situazione in cui a tutte le Chiese e religioni viene concesso un eguale trattamento, riconoscendo loro gli stessi diritti ed esigendo da loro gli stessi obblighi morali e le stesse responsabilità. Tuttavia, in alcuni casi si osserva un processo che va verso un progressivo confinamento della religione nella sfera privata. In alcuni casi, sta portando alla sua emarginazione dal dominio pubblico e, di conseguenza, all'eliminazione di ogni sorta di manifestazione pubblica della propria fede.
Laddove Chiese, comunità religiose e comunità ideologiche da una parte, e lo Stato dall'altra, sono entità distinte con distinti ambiti d'azione, in una società democratica le prime hanno il diritto e il dovere di essere di guida per i loro seguaci. Lo Stato dovrebbe guardarsi dal porre i propri cittadini di fronte alla scelta fra la lealtà nei suoi confronti e l'adesione alle proprie convinzioni religiose. Lo Stato ha il diritto di esigere da tutti i suoi cittadini un impegno pubblico ed esplicito verso la democrazia e un atteggiamento responsabile rispetto all'integrazione nella vita, nella cultura e nelle tradizioni della comunità statale.
Come cristiani e musulmani, noi dichiariamo di essere cittadini e credenti, non cittadini o credenti. Siamo quindi chiamati a operare di comune accordo e in modo adeguato con lo Stato a cui apparteniamo, senza assumere atteggiamenti servili di fronte ai governi. Affermiamo questo perché crediamo che le comunità religiose e lo Stato debbano lavorare insieme per il bene comune. Questo atteggiamento è il frutto del nostro senso di appartenenza non solo alle nostre rispettive denominazioni religiose, ma anche a quel progetto collettivo chiamato cittadinanza. Noi crediamo nell'unità e nella diversità delle nostre società, che contribuiscono alla loro crescita e al loro arricchimento.
Come cristiani e musulmani, crediamo che il futuro delle società europee dipenderà in larga misura dalla nostra disponibilità, in quanto cittadini e persone di fede, a preservare e valorizzare i fondamenti culturali e religiosi dell'Europa, e dalla nostra capacità di contribuire al raggiungimento di tale fine.
Come musulmani e cristiani, crediamo nel principio dell'integrazione, il che non comporta e non deve mai comportare l'esigenza di rinunciare alle nostre identità religiose. Per esempio, questo potrebbe verificarsi qualora si proibisse di indossare o di esporre simboli religiosi in posti pubblici o si cancellassero festività religiose con il pretesto che consentire la loro celebrazione urterebbe la sensibilità di altri credenti, o andrebbe contro i principi dello Stato laico.
Come cristiani e musulmani, riconosciamo il diritto alla libertà di coscienza, alla libertà di cambiare religione o di decidere di vivere senza una religione, il diritto di manifestare pubblicamente e di esprimere le proprie convinzioni religiose senza essere derisi o costretti al silenzio da pregiudizi o da deliberati stereotipi o dall'ignoranza.
Come musulmani e cristiani, crediamo che dialogare significhi sia ascoltare che parlare, approfondendo in tal modo la comprensione reciproca. Ribadiamo, quindi, l'esigenza di dare ascolto a uomini e donne in ogni ambito direttivo della vita civile.
Il dialogo deve svolgersi fra noi, in quanto musulmani e cristiani, ma anche con le altre religioni più importanti e con le altre tradizioni umaniste e gli altri stili di vita. Dove il dialogo porta all'azione, troviamo le Ong, i Consigli confessionali e altre Organizzazioni comunitarie. Impariamo a sanare le ferite della divisione originate da conflitti precedenti, al fine di diventare autentici ambasciatori della riconciliazione. Per poter fare questo, dobbiamo conoscerci.
Come cristiani e musulmani, confermiamo prima di tutto la nostra testimonianza a favore delle nostre rispettive fedi e tradizioni. Siamo pronti a testimoniare che l'essere umano scopre la sua identità attraverso il rapporto con Dio. Questo ci porta a ribadire l'estrema importanza e il ruolo vitale della famiglia, della dignità umana, della giustizia sociale, della tutela dell'ambiente. Questo deve escludere anche qualsiasi uso della violenza in nome della religione. Rifiutiamo inoltre ogni forma di laicismo ostile e militante che crea discriminazione fra cittadini e non lascia spazio alla fede e alla pratica religiosa. Dobbiamo sostenere non solo la posizione attiva delle comunità di fede nel contesto sociale, ma anche la vocazione comune a vivere secondo la Parola di Dio.
Come musulmani e cristiani, richiediamo, in vista di una conoscenza reciproca, l'apertura delle moschee e delle chiese ai visitatori provenienti da altre comunità, anche promuovendo la conoscenza attraverso il coinvolgimento delle persone. Questo prevede incontri fra studiosi e interazioni accademiche. Abbiamo bisogno di entrare nello spirito delle religioni, così come nelle loro esternazioni. Ci impegniamo a evitare ogni generalizzazione riguardo all'altro.
I diritti umani sono universali e includono il diritto alla libertà religiosa. Auspichiamo una collaborazione fra cristiani e musulmani in Europa al fine di promuovere questo diritto fondamentale. La solidarietà verso chi soffre dentro e fuori l'Europa deve essere incoraggiata e, dove possibile, si deve offrire una mediazione.
L'identità si compone di molti fili, e la religione è uno di questi. La robustezza di una corda deriva dai tanti fili intrecciati fra loro, e questa immagine si applica alla nostra identità come europei e come cittadini dei singoli Paesi, e al nostro patrimonio etnico e culturale. Siamo invitati a costruire ponti per avvicinare fedi e culture. L'Europa è chiamata a farsi fucina di conoscenza sia per i musulmani che per i cristiani.
Il nostro desiderio per le future generazioni è che vivano in pace e in armonia nel contesto delle nostre differenze religiose e si impegnino a migliorare la società. Il dialogo interreligioso deve iniziare in giovane età e in ambienti in cui bambini e ragazzi abbiano modo di incontrarsi e conoscere le loro differenze, vale a dire nelle aule di scuola e negli auditorium delle nostre università, nonché all'interno delle nostre comunità religiose. Questo implica la necessità di progetti specifici a livello locale.
Come partecipanti, ci impegniamo a comunicare il contenuto di questo documento all'interno delle nostre comunità e strutture e a incoraggiare la sua concreta attuazione a livello locale e nazionale. Raccomandiamo la realizzazione di una Conferenza successiva, preferibilmente entro i prossimi due anni, al fine di valutare i progressi compiuti in questa difficile impresa, e di individuare ulteriori tematiche.

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