7 febbraio 2008

La cura del silenzio del cardinale Vanhoye (Rodari per "Il Riformista")


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La cura del silenzio del cardinale Vanhoye

di Paolo Rodari

Per comprendere quanto Benedetto XVI apprezzi il cardinale Albert Vanhoye, ovvero colui al quale egli ha chiesto di guidare gli esercizi spirituali che, come ogni anno, si tengono in Quaresima alla presenza di tutta quanta la curia romana, occorre tornare al 22febbraio 2006.
Quel giorno, al termine dell’udienza generale del mercoledì, il Papa diramò l’elenco di quindici nuovi cardinali. Tra questi, appunto, l’allora già ultraottantenne Albert Vanhoye. Lasciato per ultimo nella lettura dell’elenco, fu esclusivamente dopo aver pronunciato il suo nome che Benedetto XVI aggiunse due parole di commento: «È un grande esegeta», disse lapidario.
E, in effetti, la sconfinata conoscenza di Vanhoye nel campo dell’esegesi della sacra scrittura - conoscenza che lo ha spinto con forza a offrire una dimensione prettamente spirituale alla sua introspezione del testo biblico - non è sconosciuta a Benedetto XVI. Ed è probabilmente uno dei motivi che hanno spinto il Pontefice a scegliere questo 84enne gesuita francese (è nato nella diocesi di Lille, al confine con il Belgio) per moderare gli esercizi quaresimali 2008.
Dal 10 al 16 febbraio, infatti, i cinque giorni di meditazione previsti saranno sul tema «Accogliamo Cristo nostro Sommo Sacerdote», tema tratto da un testo neo testamentario non facile, il quarto capitolo della Lettera di san Paolo agli Ebrei.
Nel 2006 e nel 2007 il medesimo compito toccò rispettivamente ai cardinali Marco Cè, patriarca emerito di Venezia, e Giacomo Biffi, arcivescovo emerito di Bologna. Mentre nel 2005, gli ultimi esercizi di Wojtyla li tenne Renato Corti, vescovo di Novara.
Gesuita vecchio stampo, fermo seguace della pura dottrina ignaziana, già rettore del pontificio istituto biblico e segretario della pontificia commissione biblica, Vanhoye vanta con il Pontefice un’amicizia sincera e schietta. I due iniziarono a frequentarsi soprattutto dal 1990, l’anno in cui Wojtyla volle Vanhoye consultore della congregazione per la dottrina della fede, il dicastero nel quale Ratzinger era da tempo prefetto.
Di Vanhoye, in Vaticano, c’è chi dice che se Pio XII l’avesse conosciuto l’avrebbe considerato e stimato tanto quanto hanno fatto Wojtyla e Ratzinger. Eugenio Pacelli, infatti, amava contornarsi di gesuiti che fossero, oltre che fedeli studiosi della scienza biblica, anche forti personalità spirituali. E Vanhoye, appunto, è le due cose insieme.
Gli esercizi quaresimali per il Papa, come per tutti i fedeli, sono occasione per prepararsi alla Pasqua. Tempo di ritiro dal mondo per volgere (convertire), soprattutto attraverso l’aiuto della preghiera, del digiuno e della penitenza, lo sguardo a Cristo. «È difficile - scrisse un giorno sant’Agostino - vedere Cristo in mezzo alla folla; ci è necessaria la solitudine. Nella solitudine, infatti, se l’anima è attenta, Dio si lascia vedere. La folla è chiassosa; per vedere Dio è necessario il silenzio».
E il silenzio, certamente, non mancherà nei cinque giorni in cui a condurre le meditazioni sarà Vanhoye.
Il gesuita francese terrà, in quella cappella al secondo piano del palazzo apostolico che fino al 1988 si chiamava cappella Matilde - poi convertita in Redemptoris Mater - delle lezioni lunghe non più di mezz’ora al termine delle quali verrà chiesto il silenzio per favorire la personale meditazione.
Benedetto XVI ascolterà le parole di Vanhoye seduto all’interno dell’oratorio di san Lorenzo, una stanza separata e posta sul lato destro della cappella, stanza da dove gli altri partecipanti non lo possono vedere. Fu Giovanni XXIII che, in occasione degli esercizi spirituali del 1960, offrì un singolare squarcio di quanto stava vivendo: «Assistevano ai discorsi diciotto cardinali e cinquantotto tra prelati e altri pochi addetti al Vaticano: in tutto, con me, settantasette ecclesiastici. Tutti invisibili per me, ma, a quanto mi si disse, attenti e pii».
Come detto, Vanhoye affronterà il tema, tratto da san Paolo, dell’accoglienza di Cristo Sommo Sacerdote. Lo farà in 17 meditazioni.
Della cosa Benedetto XVI parlò il 19 aprile 2006, durante l’udienza generale: accogliere Cristo - disse - non significa estraniarsi dal mondo quanto «ravvivare ogni umana attività come un respiro soprannaturale».

© Copyright Il Riformista, 7 febbraio 2008 consultabile online anche sul blog di Rodari a questo indirizzo.

Bellissimo articolo. Complimenti a Rodari :-)
R.

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