7 febbraio 2008

Che delusione i racconti sulle onde neo-guelfe (Cerocchi risponde a Schiavone)


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A PROPOSITO DI UN ARTICOLO DI ALDO SCHIAVONE

Che delusione i racconti sulle onde neo-guelfe

PIO CEROCCHI

Il professore Aldo Schiavone, con un intervento su Repubblica, ammonisce sul «pericolo dell’ondata neoguelfa».
Egli così scrive: «È sbagliata l’idea stessa che sia comunque possibile, oggi, nelle condizioni date, una supplenza, una sostituzione (totale o parziale, esplicita o nascosta) della Chiesa e del suo magistero nei confronti dello Stato e del dibattito etico di una società complessa (...) e che una religione – quale che sia, anche una religione di verità – possa occupare il posto della politica e del suo discorso, e mettere la sfera pubblica sotto tutela».

Ed è solo la premessa per una nuova aggressione alla Chiesa e ai credenti, condotta sul filo di un autoritarismo intellettuale, al quale si affiderebbe la pretesa di una indiscutibile superiorità culturale che, alla prova dei fatti, risulta non sempre fondata. Al punto da far ritenere ormai giunta l’ora che gli storici lascino per qualche tempo i pulpiti cartacei loro offerti dall’opportunità politica, e si rimettano a cercare sui libri e negli archivi quel vero del passato, la cui conoscenza è l’unica legittimazione al loro 'status' accademico.

Nessuno ha il diritto adattare la storia (remota e presente) alle contingenze immediate, né tanto meno è giusto scatenare a getto continuo offensive culturali fondate sul falso sistematico. Ridurre la Controriforma (che sarebbe meglio chiamare Riforma cattolica) – come fa Schiavone e stupisce in uno studioso che conosce il metodo del dialogo culturale – alla parrocchia («mentre altri costruivano Stati»), la quale già dalla derivazione greca del nome ne indica una antichissima e mai dismessa tradizione, è un banale pretesto per accreditare sul piano storico la presunta inadeguatezza della Chiesa a proporre ai fedeli un magistero adatto ai tempi.

Sia nel passato, sia nel presente perché – questo il pregiudizio – essa sarebbe comunque estranea e contraria alla modernità, e, dunque, non avrebbe nulla da insegnare a nessuno.

Non discute Schiavone, non diversamente da altri intellettuali, i contenuti etici sia della «inconcludenza» dello Stato, sia dell’insegnamento della Chiesa, quasi che l’auspicata «ricostruzione di un etica pubblica», possa ottenersi solo sulle necessità e senza alcun riferimento se non a un criterio di verità, almeno a una proposta chiara di valori condivisi.

Si potrebbe discutere ancora a lungo, ma non servirebbe a molto se non si chiarisce subito il punto decisivo della polemica laicista, e cioè che la Chiesa direttamente o indirettamente attraverso i fedeli, non ha mai avuto alcuna pretesa di sostituirsi allo Stato.

Non c’è alcuna strategia in questo senso, e i laici di qualsiasi appartenenza politica, possono stare tranquilli perché non c’è stata – né prima né ora – alcuna invasione di campo di vescovi e di cardinali.

Quella che nell’intento di delegittimarla, Schiavone (e non solo lui) definisce «l’ondata neoguelfa», invece, è tutt’altra cosa, e come tale andrebbe considerata. La Chiesa non diversamente da come ha sempre fatto, attingendo all’inesauribile «depositum fidei» fondato da Cristo e da essa custodito lungo duemila anni di storia, continua a comunicare e a diffondere il proprio magistero sulla vita e sul mondo. Con una novità, questa sì, veramente importante: in quella modernità tante volte esaltata come un mito, l’uomo – lo ammette anche Schiavone – può sentirsi smarrito e bisognoso proprio di quella parola che la Chiesa per sua missione propria, è chiamata a dare a tutta l’umanità. È forse una colpa?

© Copyright Avvenire, 7 febbraio 2008

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