2 febbraio 2008

Riflessione in occasione della giornata mondiale dedicata agli uomini e alle donne consacrate (Osservatore Romano)


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Riflessione in occasione della giornata mondiale dedicata agli uomini e alle donne consacrate

Vite esemplari lectio divina

Guido Innocenzo Gargano
Benedettino camaldolese

Parlare di rapporto tra Parola di Dio e vita consacrata significa certamente ricondurre quest'ultima alle sue origini. Nessuno ignora la connessione strettissima che i primi monaci cristiani stabilivano con la forma di vita di cui parlano ampiamente gli Atti degli Apostoli. Il riferimento non si limitava poi a un ideale condiviso unicamente in linea di massima, ma ne sostanziava anche tutto ciò che oggi si chiamerebbe più propriamente spiritualità della vita consacrata. Oggi si tende a evidenziare soprattutto ciò che distingue la vita consacrata dalla normale vita cristiana, ma i primi monaci avevano tutt'altra preoccupazione.
Secondo Giovanni Cassiano, il monachesimo non era altro che la vita cristiana originaria. I monaci erano convinti infatti di essere pressoché gli unici garanti dell'autentica vita apostolica, resa in parte irriconoscibile da un cristianesimo talmente appiattito ai criteri mondani da rischiare di perdere di vista i valori più autentici della proposta evangelica. Del resto proprio questa intenzionalità è stata, anche nelle generazioni successive, una delle costanti che è possibile rintracciare in ogni nuova forma di vita consacrata nella storia della Chiesa.
Dalla Scrittura i battezzati dediti alla vita consacrata hanno attinto soprattutto gli elementi fondamentali della loro cosiddetta vita spirituale. Proprio dai testi fondanti degli Atti degli Apostoli, validi ovviamente per tutta la Chiesa, i religiosi hanno attinto, per esempio, non solo la loro completa disponibilità alla Parola di Dio e all'insegnamento degli apostoli, ma anche quella specie di costante di una vita tutta segnata dalla compunzione del cuore, nell'umile dedizione al servizio dei fratelli, nella condivisione della preghiera, dei pasti, dei beni e delle qualità personali con obbedienza serena e generosa, ma anche nella completa libertà di mente, di cuore e di spirito, resa possibile dal dono della verginità accolta con gioia e generosità per amore di Cristo.
La Parola biblica - declamata, cantata, riproposta continuamente con gli accorgimenti artistici più elevati del canto, delle miniature, delle splendide suppellettili liturgiche e perfino architettoniche - in contesti liturgici, oppure meditata personalmente, è stata sempre alle origini della chiamata particolare sperimentata da fondatori e fondatrici di ordini o congregazioni religiosi in tutte le epoche. Sarebbe lunghissimo l'elenco che, a partire da quegli archetipi dei monaci che furono Antonio l'Egiziano, Basilio di Cesarea e Benedetto da Norcia, fino ad arrivare a Domenico, Francesco di Assisi, Ignazio di Loyola, Giovanni Bosco e tantissimi altri, dimostrerebbero ad abundantiam questa constatazione.
Ma la Parola è stata soprattutto pane quotidiano che ha nutrito la vita dei religiosi in molteplici forme, soprattutto attraverso la pratica costante della lectio divina che collega armonicamente le esigenze spirituali con le esigenze culturali e con la vocazione, comune a tutti i cristiani, della testimonianza in favore di Cristo e del vangelo.
La charitas perfecta, che permette un sano alternarsi di vita attiva e vita contemplativa, ha caratterizzato da sempre la vita consacrata cristiana. Le molteplici forme assunte nei singoli istituti di vita consacrata, apprezzati, riconosciuti e promossi dalla Chiesa, hanno in realtà sempre come obiettivo comune, condiviso da tutti, la testimonianza dell'amore di Cristo che va al di là di ogni limite o definizione.
È in ogni caso evidente, anche ai nostri giorni, come la luce che emana dal volto di questi uomini e donne di Dio, trasformati in vangelo vivente, sia fonte di stupore e meraviglia per credenti e non credenti, nella storia degli uomini. Di Antonio l'Egiziano si diceva che era una "biblioteca vivente" e, osservando i monaci contemporanei di Benedetto da Norcia, Gregorio Magno aveva potuto concludere viva lectio est vita bonorum e cioè che: osservare la vita di questi uomini buoni era come compiere una vera e propria lectio divina.
La venerazione e l'amore che monaci e religiosi hanno sempre dimostrato per il testo biblico, a partire dall'insegnamento insuperato di scrittori cristiani antichi e di Padri della Chiesa come Origene, Girolamo e Agostino, hanno avuto dei risvolti pratici di importanza straordinaria per l'evangelizzazione dei popoli e per la loro successiva maturazione.
L'accostamento fra alcuni scritti di padri medievali, come Pietro il Venerabile di Cluny, san Pier Damiani o san Bernardo di Chiaravalle, con testi analoghi di fondatori di ordini moderni e contemporanei come, per esempio, il fondatore dei padri verbiti o il beato don Alberione fondatore delle congregazioni paoline, darebbe, da questo punto di vista, luci davvero impressionanti sull'importanza che ha avuto la dedizione alle Sacre Scritture perseguita dai membri degli istituti di vita consacrata. Le conseguenze di questo lavoro, spesso silenzioso e oscuro, consumato nei segreti della cella monastica, delle biblioteche o delle stamperie, sono sotto gli occhi di tutti. E non potremmo certamente mancare di riconoscenza verso questi umili servitori della Parola se ci fermassimo, anche solo per un istante, a osservare la straordinaria messe di frutti che tutto questo lavoro silenzioso e umile ha comportato per l'evangelizzazione del mondo, per lo sviluppo e l'affermazione della fede della Chiesa e, soprattutto, per il nutrimento spirituale di tutti i battezzati, non ultimi gli stessi membri della Chiesa gerarchica.
E perché non si pensi che possa esserci dimenticanza di coloro che vivono il proprio carisma con forme che sfuggono alla considerazione di molti, ma che non possono assolutamente essere sottovalutati all'interno della grande comunione cattolica, può essere opportuno ricordare ciò che scriveva Pietro il Venerabile, abate di Cluny nell'undicesimo secolo, nel suo Trattato sulla Vita eremitica, ad un eremita recluso del suo tempo: "La tua mano impugni la penna, in luogo di arare i campi, pagine piene siano tracciate da lettere sacre, e sulla pergamena si coltivi il semenzaio della parola di Dio che, maturate le messi, cioè compiuti i libri, sazi di moltiplicati frutti gli indigenti lettori, e così il pane celeste scacci la fame mortale dell'anima. Potrai diventare così un silenzioso predicatore della parola di Dio e, pur tacendo la lingua, la tua mano risuonerà a gran voce per gli orecchi di molti popoli. Sei rinchiuso nelle tenebre della tua spelonca, ma nei tuoi libri attraverserai terre e mari, griderai dall'alto la parola di Dio per bocca del lettore nelle pubbliche riunioni della Chiesa, mentre negli angoli più remoti dei chiostri e delle case la sussurrerai ai silenziosi servi di Dio. La professione ti farà eremita, la devozione apostolo".

(©L'Osservatore Romano - 2 febbraio 2008)

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