22 ottobre 2008
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Il cardinale Jean-Pierre Ricard all'incontro su cristiani e musulmani in Europa
Libertà religiosa per tutti e dovunque
Bruxelles, 21.
"È nella natura dell'uomo cercare la verità, aprirsi a una trascendenza. Questa ricerca o questa apertura non possono che essere libere. Ciò implica anche la libertà di credere, di esprimere la propria fede, di celebrarla, di insegnarla e di manifestarla". Lo ha detto l'arcivescovo di Bordeaux, il cardinale Jean-Pierre Ricard, intervenendo al convegno sul tema Essere un cittadino dell'Europa e una persona di fede. Cristiani e musulmani come partner attivi nelle società europee, in svolgimento fino al 23 ottobre a Bruxelles.
L'iniziativa è promossa congiuntamente dalla Conferenza delle Chiese europee (Kek) e dal Council of European Bishops' Conferences (Ccee). "Nel quadro del rispetto dell'ordine pubblico - ha osservato il porporato - lo Stato non solo non deve mettere ostacoli a questa libertà, ma deve vegliare affinché tutti possano esercitare questo diritto alla libertà religiosa. Ricordiamo che la libertà religiosa ha una dimensione sociale. Essa implica una vera libertà di culto (costruzione di moschee, libertà di associazione e organizzazione interna, gestione dei suoi propri ministri, insegnamento, attività caritative o di solidarietà, possibilità di scelta, data alle famiglie, riguardante l'insegnamento dei propri figli)". I cristiani - secondo il cardinale - hanno bisogno di sottolineare tutto ciò davanti a coloro che non accettano tale visione. Questa libertà religiosa comporta il rispetto della libertà di coscienza: possibilità di aderire liberamente a una religione o di abbandonarla. Il porporato ha evidenziato: "Questo è un problema sensibile per un buon numero di musulmani. Ma io credo che una piena integrazione nelle società europee implichi questa libertà. Rispettare la libertà di coscienza di chi lascia la sua religione non implica che si approvi la sua scelta". Il porporato ha spiegato che uno dei rischi per l'inserimento dei musulmani in Europa è la situazione nella quale si trova un certo numero di immigrati, di famiglie nate dall'immigrazione, o di giovani della seconda o terza generazione: "Costituzione di città o di quartieri ghetto - ha specificato - fallimento scolastico, disoccupazione, sensazione di non avere posto né avvenire nella società, rancore e violenza verso questa società che non sembra così giusta come quella di provenienza e verso uno stato di polizia che non appare più così "neutrale"". L'islam "potrà sembrare allora come quello che dà a questi giovani un'identità e un orgoglio che la società non offre loro. Sono allora le correnti più conservatrici e le più anti occidentali che rischiano di essere scelte, e le comunità musulmane possono avere la tentazione di costituirsi in contro-società". Il cardinale ha proseguito: "Un fenomeno che può portare a un rigetto radicale dell'Occidente nelle popolazioni musulmane, e un rifiuto analogo dei musulmani nelle popolazioni europee non musulmane".
E ha concluso: "C'è dunque tutto un lavoro da fare in partenariato che comprende anche altri attori sociali e politici, per prevenire le esplosioni che possono prodursi in queste situazioni generatrici di violenza e per far emergere queste stesse situazioni dall'esclusione". Affinché il dialogo fra islam e cristianesimo dia frutti concreti e sia considerato credibile, "le due fedi devono collaborare nella difesa e nella promozione dei valori umanistici, della dignità della persona, dei diritti umani fondamentali. Ed è dunque necessario che il principio di libertà religiosa abbia valore reciproco, sia valido cioè tanto in Europa come nei Paesi musulmani". "I cristiani e i musulmani possono ritrovarsi per difendere assieme un certo numero di valori: l'importanza data alla famiglia, il rispetto della dignità dell'uomo in tutte le situazioni, la giustizia sociale, l'attenzione all'ambiente e allo sviluppo durevole, il rifiuto di una gestione puramente di sicurezza dei fenomeni migratori, l'educazione, la pace sociale e la pace nel mondo".
Di fronte, tuttavia, agli atti di intolleranza religiosa che si verificano nel mondo, il porporato ha detto che "c'è il rischio che tutto il discorso sul dialogo con l'islam perda la sua credibilità, perché non si può rivendicare la piena libertà religiosa qui (in Europa) e restringerla là (nei Paesi musulmani), tanto più che siamo in un contesto dove l'antisemitismo e l'islamofobia sono ancora molto presenti".
(©L'Osservatore Romano - 22 ottobre 2008)
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