11 agosto 2008

Mons. Negri commenta le parole del Papa all'Angelus: "Nei momenti difficili, Dio ci porge la mano e chiede a noi di porgerla al prossimo nel bisogno"


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Nei momenti difficili, Dio ci porge la mano e chiede a noi di porgerla al prossimo nel bisogno: sulle parole del Papa all’Angelus, la riflessione del vescovo di San Marino, Luigi Negri

Anche a noi, come a San Pietro, che sopraffatto dalla paura rischia di annegare, il Signore ci “porge continuamente la mano”: è uno dei passaggi della meditazione offerta da Benedetto XVI ai fedeli, ieri all’Angelus a Bressanone. Il Papa ha sottolineato che anche noi siamo chiamati a porgere “la nostra mano agli altri, a coloro che ne hanno bisogno”.

Per una riflessione sulle parole del Papa, Alessandro Gisotti ha intervistato il vescovo di San Marino-Montefeltro, mons. Luigi Negri:


R. – Certo, il mondo è forte, le sfide sono forti. Possono sembrare talvolta, al singolo cristiano come alla comunità, insostenibili. Ma la radice della loro forza è in realtà la nostra debolezza di fede. Pietro affonda perché si stacca dalla mano di Cristo, perché non crede. Non tanto e soltanto perché i flutti sono forti! Io credo che questa sia una lezione formidabile per la Chiesa di questo tempo. La Chiesa è certamente assalita da pericoli antichi e nuovi e forse non ce li aspettavamo così forti all’inizio del terzo millennio, quando forse speravamo - al cadere delle grandi ideologie – in un momento di pace. E’ venuta, invece, una tempesta più grave – secondo me – di quella delle grandi ideologie, perché c’è un anticristianesimo diffuso e pervasivo. Insomma le sfide sono per approfondire la fede: se noi le viviamo dentro la certezza della fede, allora anche i marosi si calmano!

D. – Questa difficoltà è molto presente nel pensiero del Papa, che ieri per esempio ha detto, con un’immagine molto forte: “La Chiesa del nostro tempo in molte parti della terra si trova a penare per avanzare, nonostante il vento contrario e sembra che il Signore sia molto lontano”….

R. – In queste parole del Papa c’è una consapevolezza profonda e - vorrei direi – quasi una tenerezza. Una tenerezza che fa bene alle Chiese, alle Chiese martoriate in certi Paesi del mondo, nel sud-est asiatico, in Terra Santa, nei Balcani e adesso anche la Georgia, dove ci sono cristiani che si stanno combattendo, che si stanno massacrando. Io credo che in questi momenti sia più che mai chiaro alla Chiesa che il Papa rende presente Cristo. C’è anche una consapevolezza critica. Noi stiamo soffrendo ed è inutile nasconderselo, ma d’altra parte questa sofferenza diventa un fattore di crescita e di maturazione se noi ci riaffidiamo tutti i giorni alla mano forte di Cristo, che non ci lascia, che ci guida nelle fatiche e nelle prove verso una maturazione della nostra fede e, quindi, paradossalmente – e il Papa lo ha ricordato – verso una maturazione della nostra capacità missionaria.

D. – Il Papa ci mostra che la forza non deriva da noi stessi, ma proprio da questo tener stretta la mano di Gesù…

R. – Certo ed è questo - direi - l’aspetto integrale della fede. Credo che la testimonianza e l’insegnamento di Benedetto XVI ci abbiano insegnato nel vivo che la fede è un atto integrale della fede, è un atto dell’intelligenza e del cuore. Credo che questa rieducazione continua che il Papa fa a riscoprire la propria fede come il fattore fondamentale sia determinante. Non toglie i problemi, ma cambia la nostra umanità.

D. – Peraltro, già nell’incontro con i sacerdoti a Bressanone il Papa aveva risposto ad una domanda di un seminarista, sottolineando che proprio nella fede noi diventiamo più umani…

R. – Si deve permanere – ha detto il Papa – nell’orizzonte dello Spirito. E’ lo Spirito che rende poi quotidiana la grandezza sperimentata a Sydney, ha aggiunto. Lo Spirito si manifesta in noi, cambiandoci, rendendo cioè più vera la nostra umanità. I doni dello Spirito che egli ha evocato sono i doni dell’umanità nuova. Quanto più apparteniamo a Cristo, tanto più diventiamo umani.

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1 commento:

Anonimo ha detto...

Buon giorno a voi, bellissimo l'accenno al passo del Vangelo con Gesù che porge la mano a Pietro, futuro capo della Chiesa, per aiutarlo nella tempesta sul lago, con l'accostamento al faticoso cammino della Chiesa, ostacolata e lacerata, che comunque non deve mai smettere di confidare in Gesù stesso. Mi pare tra altro che queste siano le famose parole "a braccio" che all'Angelus hanno colto impreparati i giornalisti. Con l'occasione volevo consigliarvi una raccolta di testi di Joseph Ratzinger, che sto leggendo in questi giorni, pubblicata dalla Queriniana sotto il titolo "Chi ci aiuta a vivere?" Saluti cari Carla