3 ottobre 2008

Québec, laicismo e fede (1). Una società malata di relativismo. John Zucchi: «La rivoluzione silenziosa e la ’resa’ dei Cattolici» (Corradi)


Vedi anche:

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Intervista esclusiva di Andrea Tornielli a Mons. Georg Ratzinger: "Mio fratello Papa Ratzinger (che voleva fare l'imbianchino)"

il fatto

Una legge bandisce dalle scuole l’insegnamento confessionale e impone corsi di etica di Stato

QUÉBEC

LAICISMO E FEDE/1

Viaggio in una terra che fino a 50 anni fa era considerata la più cattolica del Nord America

Una società malata di relativismo

Il nunzio Ventura: si va a costruire una religione laica, il cui dogma è che nessuno ha il monopolio della verità. Un parroco: si ricomincia da una testimonianza

DAL NOSTRO INVIATO A MONTREAL

MARINA CORRADI

Chi passi distrattamente per rue Saint Laurent, a Petite I­talie, nel quartiere italiano, nota un condominio di lusso dalla struttura imponente. Solo alzando gli occhi riconosce, dalle due torri geometriche accanto alla facciata anteriore, che cos’era originaria­mente quel palazzo. Saint Jean de la Croix, vecchia grande chiesa inuti­lizzata in una città dove la frequen­za domenicale alla Messa è del 5%, è stata venduta: rimosse le campa­ne, le navate trasformate in bilocali a migliaia di dollari il metro quadro. Non è la sola, Saint Jean, ad avere su­bito questa sorte, in una città che vantava 300 fra chiese e monasteri, in un Québec considerato fino a cin­quant’anni fa il più cattolico paese del Nord America. Ora le chiese so­no vuote, i giovani convivono senza sposarsi, e raramente battezzano i pochi figli che nascono (la natalità è sotto gli 1,6 figli per donna, meno che in Italia). Nemmeno per il fune­rale si torna in parrocchia : molti or­mai, spiega don Pierangelo Pater­nieri, parroco di Notre Dame de Pompei, preferiscono le «Funeral house». E ci conduce a visitarne u­na. Da fuori, sembra un Mc Donald’s, o un supermercato. Dentro, un im­piegato sorveglia sei camere mor­tuarie in velluto e moquette, com­plete di sala per banchetti e stanza giochi per i bambini. E’ tutto molto bene organizzato, per una tariffa da 20 mila dollari a defunto ('facciamo 50 decessi al mese', spiega con piglio manageriale l’addetto). Però, qui al massimo il morto può avere una ve­loce benedizione, ammesso che sia cristiano. Non un funerale con la messa - si usa sempre meno.

In questo contesto da frontiera post cristiana, l’ultima novità è l’Erc ( Cor­so di etica e cultura religiosa), una legge del Governo provinciale che bandisce, da quest’anno, l’insegna­mento confessionale dalle scuole pubbliche, e costringe anche quelle private a impartire, accanto alla pro­pria dottrina, la nuova dottrina di Stato agli alunni.

Il programma: bre­vi nozioni sulle principali confessio­ni, liceità morale dell’ aborto, figure esemplari del ’900 (fra cui lo stesso promotore della legge sull’aborto in Quebec). I docenti, è prescritto dal­la legge, devono essere rigorosa­mente 'neutrali'.

Insomma un mix di relativismo e politically correct al posto della memoria cristiana nelle scuole, benché l’80 per cento dei pur poco praticanti canadesi continuas­sero a chiedere questo insegnamen­to per i loro figli.

Il primo corso di Etica di Stato di un Paese occidentale , peraltro, è pas­sato via liscio. Solo una antica scuo­la cattolica di Montreal, la Loyola Hi­gh School, ha sporto ricorso per in­costituzionalità alla Corte Superiore; solo il primate del Canada cardina­le Marc Ouellet ha protestato dura­mente contro quella che ha chia­mato 'dittatura del relativismo ap­plicata' (ne riferiremo nella prossi­ma puntata, con un’intervista a Ouellet). Una marcia di protesta dei cattolici è in programma per il 18 ot­tobre, ma non sembra di poter spe­rare in una partecipazione oceani­ca. 'Questa legge - dice monsignor Luigi Ventura, bresciano, nunzio a- postolico in Canada - pare contrad­dire le norme costituzionali, e forse anche la Carta dei diritti dell’uomo, per quanto riguarda la libertà dei ge­nitori a educare. In realtà, si va a co­struire una religione laica. Lo Stato si erge a ente di educazione morale, a maestro di una dottrina il cui dog­ma è: nessuno ha il monopolio del­la verità».
Compri i giornali, e ti aspetti alme­no un dibattito aperto alla doman­da delle famiglie, su questa riforma. Ben poco invece, e quasi solo un mo­nologo favorevole.
L’educazione re­ligiosa pare in Québec cosa del pas­sato, una memoria amara cui si ri­nuncia senza rammarico.
Il nunzio: «Non c’è reazione popolare perché c’è una sorta rassegnazione a un mo­nopolio dell’informazione e degli in­tellettuali, che spesso tacitamente i­gnorano ciò che non rientra nei lo­ro canoni. Viviamo nell’onda di un laicismo radicale, che addossa alla Chiesa ogni responsabilità di ciò che non va, e la addita come ’il nemico’ del progresso e della laicità. Un ran­core che è più negli intellettuali che nella popolazione, in fondo alla qua­le tuttavia, io credo, una domanda religiosa rimane».

Ma, come si vive in questo paese di chiese vendute, dove ai bambini si insegna, obbligatoriamente, la cor­retta etica di Stato? Don Luca Bran­colini, sacerdote della Fraternità San Carlo e parroco della Madonna del­la Difesa a Petite Italie, parla di una «riduzione della domanda di senso». «Perché non è che i ragazzi non portino ancora dentro di sé il desiderio grande, cui risponde il cristiane­simo. Ce l’hanno, questa domanda, ma siccome gior­nali, tv e tutti at­torno implici­tamente ripe­tono che è un desiderio im­possibile, ci si acconten­ta.
Si vive di modeste sod­disfazioni, si sta insieme finchè ci si riesce, non si ri­schia un figlio». La Gazet­te de Montreal riporta i da­ti sulla tenuta delle fami­glie: a 18 anni, un ragazzo su 4 non frequenta più il pa­dre, separato. Incontri per le strade un numero di clo­chard che non ti aspetti, spes­so abbastanza giovani. Sono i dropout, gli 'espulsi' dei ma­trimoni falliti. Il tasso dei suici­di giovanili è fra i più alti del Nord America. Un Paese relativamente benestante, dove un lavoro si trova, esprime in queste statistiche un o­scuro disagio. Ma il nichilismo di Montreal man­tiene all’apparenza un’impronta lie­ve. Al venerdì sera alle cinque folle di impiegati si riversano nei bar del­l’happy hour, l’aperitivo prima del week end, con l’aria di chi dice: ora si vive, finalmente. I vecchi, invece, li incontri quasi sempre soli, con un cane al guinzaglio. Bambini, davve­ro pochi. Trovi, nei negozi del Vieux Port, un giochino curioso: un disco di carta con una freccia con la scelta fra trenta religioni possibili, dall’indui­smo al voodoo . Si gira la freccia e si sceglie la religione più conveniente. È la roulette del multiculturalismo. La religione cattolica è sconsigliata: «niente anticoncezionali, niente di­vorzio e regole severe».
In rue Saint Catherine, in pieno cen­tro, ti colpisce una chiesa metodista. Accanto alla porta, stampato in gran­di caratteri, l’elenco dei servizi: «Bat­tesimi, funerali, matrimoni, concer­ti». Quasi un menu à la carte. Il vo­lantino col numero di telefono pro­mette anche: «unioni civili». Pare d’essere davanti a un centro commerciale in cerca di clienti. La chiesa, peraltro, è vuota. Sul volo Air France un anziano ingegnere di Mon­treal quando gli dici che sei una giornali­sta cattolica reagisce come punto da una vespa: «Ero pratican­te da ragazzo, ma a vent’anni non ne ho potuto più di tanti precetti, e divieti, e moralismi…».
Catholic Times, un mensile della dio­cesi di Montreal, annuncia la chiu­sura di una parrocchia vecchia di cento anni, per mancanza di par­rocchiani. Ti echeggia in testa, per le vie di Montréal, la domanda de 'I co­ri della rocca' di Eliot ('E’ la Chiesa che ha abbandonato l’umanità, o l’u­manità che ha abbandonato la Chie­sa?'). Qualcosa qui si è rotto, come se una fede troppo formale, abitudi­naria, fosse implosa.
Da dove si ri­comincia, ora? Don Brancolini è perentorio: «Si ri­comincia da uno. O da due, o da tre. Da una testimonianza. Qui da noi in pochi anni la frequenza alla messa è raddoppiata, la domenica la chiesa è piena. E cinquanta ragazzi gravi­tano sulla parrocchia. A un battesi­mo ho chiesto ai genitori: quanto vorreste che vivesse il vostro bambi­no? Silenzio, sguardi stupiti. Poi un padre, timidamente: vorrei che vi­vesse per sempre». La domanda, fra le chiese vendute al metro quadro, permane.
La misura è figlia di una mutazione nel segno della secolarizzazione. Solo un istituto cattolico ha fatto ricorso per incostituzionalità. Chiese vuote, rari battesimi. «Funeral house» al posto delle messe in parrocchia.

© Copyright Avvenire, 2 ottobre 2008

intervista

John Zucchi: non c’è soltanto l’offensiva dell’anticlericalismo alla radice di questa mutazione antropologica

«La rivoluzione silenziosa e la ’resa’ dei cattolici»

DAL NOSTRO INVIATO A MONTREAL

E da quest’anno, a scuola, l’Etica di Stato. Per i cattolici uno schiaffo, ma forse anche una sfida.

Marina Corradi

Era un Paese profondamente cattolico. Ogni villaggio, ogni fiume del Québec rurale porta il nome di un santo. Negli anni Venti, dicono le statistiche, addirittura una donna maggiorenne su 11 era suora. Da qui alla frequenza alla messa del 5%, cosa è successo in Québec?

John Zucchi, docente di Sto­ria alla Mc Gill University e traduttore in Canada dei li­bri di don Giussani, spiega: «Prima della guerra, tutto in Québec era in mano alla Chiesa: ospedali, sindacato, scuola, tanto che solo nel ’64 è nato il ministero dell’I­struzione. Tra il 1935 e il 1959 i governi del conserva­tore Maurice Duplessis ave- vano stretto con la Chiesa cattolica un’al­leanza forte, ma anche strumentale. Poi, ne­gli anni Sessanta scoppia quella che noi chia­miamo la 'rivoluzione tranquilla'. L’influs­so della cultura marxista e l’esplosione del­lo statalismo incrociano l’impatto del Con­cilio Vaticano II. Numerosi sacerdoti ab­bandonano la veste. La Chiesa pare ritirarsi su sé stessa. Prende piede, nella generazio­ne che oggi ha 50 anni, un visibile rancore verso ciò che è cattolico. Nel 1985 all’uni­versità io non potevo permettermi di parla­re positivamente della Chiesa, gli studenti, francofoni e cattolici di origine, non lo tol­leravano. La nostra è la generazione più a­mara ».

Quella che, anagraficamente, ora è al go­verno, e nei media, marcati da un netto an­ticlericalismo…

Sì, anche se occorre dire che non tutta la lai­cizzazione del Québec è opera di una cultu­ra radicale. Le leggi su aborto e divorzio so­no dovute a governi liberali, moderati, a po­litici anche cattolici. Fino a questa legge che bandisce l’insegnamento confessionale dal­le scuole, e che pure viene da un governo moderato. Uno degli estensori del progetto del nuovo Corso di etica, George Leroux, as­sume in fondo la tesi kantiana dello Stato che si appropria della religione, per farne u­na religione di Stato.

In Québec con il forte flusso dell’immigra­zione si affronta anche il problema della convivenza religiosa…

Ci sono state molti processi concernenti la 'accoglienza ragionevole', la conciliazione degli usi degli immigrati con quelli tradizio­nali. Poi il Governo ha commissionato una grande indagine nel Paese, alla ricerca di possibili soluzioni. In realtà però i nuovi ar­rivati in genere non mostrano alcun fastidio per le croci sugli edifici. Il multiculturalismo è usato come alibi da una cultura laicista che vuole semplicemente ridurre la fede reli­giosa a uno spazio privato.

L’aggressività del laicismo, soprattutto fra gli intellettuali e nei giornali, basta a spiegare il crollo della pratica cattolica in Québec?

Da un lato, nell’onda della 'rivoluzione tran­quilla' e poi del ’68 la Chiesa qui si è senti­ta messa ai margini, irrilevante. E forse si è andata anche dimenticando del fonda­mento, della sua prima radice. Oggi, gli a­dulti sono ancora spesso ostili. I ventenni, in­vece, del cristianesimo non sanno quasi niente, e sono più disposti ad ascoltare. A volte però il rischio è il pietismo, un cristia­nesimo privato che rinunci a incidere sulla realtà.

© Copyright Avvenire, 2 ottobre 2008

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