10 agosto 2008

Nel suo inno sant'Ambrogio ricorda il martirio dell'arcidiacono Lorenzo che dalla graticola irride il suo carnefice (Biffi per l'Osservatore)


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Nel suo inno sant'Ambrogio ricorda il martirio dell'arcidiacono Lorenzo che dalla graticola irride il suo carnefice

«Giratemi e se è a punto mangiate»

di Inos Biffi

San Lorenzo appare specialmente caro a sant'Ambrogio: come gli apostoli Pietro e Paolo, l'arcidiacono di Papa Sisto ii, martire nella persecuzione di Valeriano nel 258, gli richiamava la sua Chiesa d'origine, con la sua fede: la "fede romana" (romana fides). Ma il santo era anche particolarmente venerato nella sua famiglia. Ambrogio ricorda che a lui si era raccomandato il fratello Satiro prima di mettersi in viaggio per la Sicilia e l'Africa: "Con le tue preghiere al santo martire Lorenzo avevi ottenuto di metterti in viaggio".
Il suo richiamo, con le circostanze della sua passio, torna soprattutto nel De officiis, come a volerlo porre a modello del suo clero, specialmente per l'amore ai poveri, ai quali vanno destinati e distribuiti l'oro e il patrimonio della Chiesa. Parlando della fortezza dei martiri scrive: "Non trascuriamo san Lorenzo, che, vedendo il suo vescovo Sisto condotto al martirio, cominciò a piangere non perché quello era condotto a morire, ma perché egli doveva sopravvivergli. Cominciò dunque a dirgli a gran voce: "Dove vai, padre, senza tuo figlio? Dove ti affretti, o santo vescovo, senza il tuo diacono". (...) Allora Sisto gli rispose: "Non ti lascio, non ti abbandono, o figlio; ma ti sono riservate prove più difficili. A noi, perché vecchi, è stato assegnato il percorso di una gara più facile; a te, perché giovane, è destinato un più glorioso trionfo sul tiranno. Presto verrai, cessa di piangere: fra tre giorni mi seguirai. (...) Perché mi chiedi di condividere il mio martirio? Te ne lascio l'intera eredità"".
E continuava, ricordando i particolari della morte, con la battuta di spirito arguta e raccapricciante del martire, che arrostiva sui tizzoni ardenti: "Nessun desiderio spingeva san Lorenzo, se non quello d'immolarsi per il Signore. E anch'egli, tre giorni dopo, mentre, beffato il tiranno, veniva bruciato su una graticola: "Questa parte è cotta, disse, volta e mangia". Così, con la sua forza d'animo, vinceva l'ardore del fuoco".
E anche la beffa di Lorenzo al persecutore è menzionata nel De officiis: "A chi gli chiedeva i tesori della Chiesa il santo martire Lorenzo promise di mostrarli. Il giorno seguente condusse i poveri. Interrogato dove fossero i tesori promessi, indicò i poveri dicendo: "Questi sono i tesori della Chiesa". (...) Tali tesori mostrò Lorenzo e vinse, perché nemmeno il persecutore poté sottrarglieli".
Anche per questo inno Ambrogio raccoglie i dati sparsi nella sua prosa e li compone a formare un insieme poetico stupendo, dove il racconto si fonde con l'ispirazione e l'emozione con la scenografia, e da cui spicca la figura vigorosa e affascinante dell'intrepido e ironico diacono che la Chiesa di Roma venera con ammirazione e tenerezza, e al quale si sente legatissima, come al suo speciale patrono, con gli apostoli romani Pietro e Paolo.
L'autenticità dell'inno, più volte citato da Agostino, appare indubbia: "Lo stile grafico di Ambrogio, - osserva il Biraghi - la somiglianza di frasi, certi vocaboli tutti suoi, varie voci da legale, i passi paralleli ad altri delle Opere, tutto ci rivela a chiare note l'origine Ambrosiana".
L'inizio dell'inno è una prima grande esaltazione del diacono di Sisto, quasi equiparato a Pietro e Paolo, e insignito della gloria eterna del martirio dalla fede feconda della Chiesa che risiede in Roma: "Lorenzo, l'arcidiacono, / pari quasi agli apostoli (apostolorum supparem), / la fede romana (fides romana) ha immortalato / con la corona propria dei martiri".
E questa corona gli è preannunciata assai vicina da Papa Sisto, che - come scrive Ambrogio - lo aveva fatto suo amministratore e "partecipe della celebrazione dei sacri misteri", e che ora lo precede sulla via del sacrificio: "Mentre seguiva il martire Sisto, / un responso profetico ne ottenne: / "Cessa, figlio, d'affliggerti: / mi seguirai fra tre giorni"".
Lorenzo riceve, così, in eredità il sangue stesso versato da Papa Sisto, e quindi una garanzia sicura - siglata dalla promessa e suggellata dal sangue - del proprio destino, anticipato e rimirato, con animo intrepido e compassionevole, nel martirio del proprio vescovo: "Non atterrì il supplizio / il designato erede di quel sangue, / che con occhio pietoso anzi contempla / la sorte che sarà sua". Nel sacrificio del suo Pontefice l'arcidiacono inizia la propria immolazione: "Già in quel martirio il martire trionfa, / successore legittimo: / tiene un impegno siglato / dalla voce e dal sangue".
Commenta il Biraghi: "Non atterrito dalla profezia di morte, ma lieto di dover essere erede del di lui sangue, stette osservando con fermo e divoto sguardo quel supplizio che doveva tra poco subire egli pure. Anzi col cuore già egli pure fe' il sacrificio insieme con Sisto, e con lui già trionfò, egli erede, egli successore a pari condizioni, egli che già ne aveva il codicillo (syngrapham) fatto di voce e col sangue di Sisto".
In questi versi limpidi e icastici viene mirabilmente delineata, in tutta la sua suggestione e la sua forza, la figura commovente e vigorosa di san Lorenzo, che continuerà a suscitare ammirazione e tenerezza in tutte Chiese, dove il suo culto sarà assai diffuso e vivo. E ne è un segno la Chiesa di Milano, per la quale stende l'inno Ambrogio, che del martire romano vi ha portato o certamente incrementato la memoria. "Milano fin dal principio del secolo v ebbe una chiesa in onore di san Lorenzo, che fu una delle più celebri" (Biraghi).
Viene poi volto in poesia l'episodio dei "tesori della Chiesa" (thesauri Ecclesiae), come li denomina sant'Ambrogio, e il particolare dell'inganno tramato da Lorenzo, che li presenta argutamente al persecutore. Il tutto sarà raccolto largamente nella tradizione della Chiesa, dove contribuirà a illustrare ciò che in essa si trova di più pregevole e di più caro - i poveri - e insieme a raffigurare nell'"erede del martirio" di Papa Sisto l'icona della diaconia a servizio dei poveri: "Dopo tre giorni gli impongono / di consegnare i tesori ecclesiali (census sacratos); / docilmente promette, non rifiuta, / aggiungendo una beffa alla vittoria".
L'ispirazione del poeta indugia a descrivere e a destare meraviglia per l'incantevole visione di questi tesori della Chiesa, dei quali al suo clero aveva detto: "Quali tesori più preziosi ha Cristo di quelli nei quali ha detto di trovarsi?"; "Sono veramente tesori quelli in cui c'è Cristo, in cui c'è la fede di Cristo". Recitano i versi: "Che spettacolo splendido! (spectaculum pulcherrimum!) / Raduna le schiere dei poveri / ed esclama, quei miseri additando: / "Eccovi le ricchezze della Chiesa!" // Certo, vere e perenni ricchezze / son dei fedeli i poveri".
Sennonché, all'irrisione canzonatoria e smaliziata di Lorenzo, segue la rivalsa del tiranno: "Ma la derisa avidità si rode/ e la vendetta con le fiamme appresta". Ambrogio aveva scritto: "Per la singolare accortezza della sua preveggenza, Lorenzo ottenne la ricca corona del martirio".
E, finalmente, il compimento del desiderio di Lorenzo, come lo chiama ancora il vescovo di Milano, di "immolarsi per il Signore". Ossia quella consumazione del martirio sulla graticola, che tanto profondamente è rimasta impressa nell'animo e nella rappresentazione agiografica della Chiesa, anche per la richiesta impressionante e canzonatoria rivolta al tiranno, scottato dal fuoco da lui stesso acceso, di essere rigirato in vista di una cottura accurata e pronta per una idonea consumazione: "Però si ustiona da sé il carnefice / e fugge dalla sua vampa. / "Giratemi", invita il martire, / "e, se è a punto, mangiate"".
Mettendo in versi per la preghiera e il canto dei suoi fedeli milanesi, quest'altro "miracolo della fortezza cristiana" (Biraghi), nato dalla "fede romana", come la martire Agnese, Ambrogio ha soddisfatto la sua devozione personale verso san Lorenzo; ha esaltato, una volta ancora, la fecondità e la pietà della sua Chiesa d'origine, con la quale coltivò sempre un intimo legame e un affettuoso ricordo; e ha suscitato e rinvigorito nella Chiesa, che Dio gli aveva affidato tanto inaspettatamente, una più accesa devozione per l'eroico e vittorioso arcidiacono di Sisto.

(©L'Osservatore Romano - 10 agosto 2008)

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