22 febbraio 2008

Aborto, le immigrate cinesi al «Buzzi» scelgono la vita


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LA DIFESA DELLA VITA

Aborto, le immigrate cinesi al «Buzzi» scelgono la vita

Nell’ospedale milanese dal 2000 una mediatrice cinese è presente durante tutte le visite di ostetricia e ginecologia. Traduce, spiega, rassicura... E molte giovani decidono di tenere il bambino «La nascita di un figlio è una bella notizia per qualsiasi madre al mondo, se la si aiuta. Il nostro compito? Tutelare la maternità anche per le irregolari, le più esposte ai macelli clandestini»

DA MILANO LUCIA BELLASPIGA

Del bambino cinese mai nato a Firenze, abor­tito al quarto mese, non c’è più traccia: men­tre la madre, 20 anni, immigrata regolare, lot­ta in ospedale con utero e intestino perforati dall’og­getto utilizzato per l’aborto, la polizia cerca nella re­te fognaria. «Ho fatto tutto da sola - ripete lei, forse impaurita, forse minacciata - , non ricordo con qua­le oggetto. Il bambino l’ho buttato nel water...». Pa­role dure, difficili anche da scrivere, figuriamoci da pronunciare, ma questa è la realtà in troppe situa­zioni di degrado e ignoranza. E il rimpianto maggio­re, in tutti noi, lo grida la giovane madre mancata: «So solo che se tornassi indietro non lo rifarei mai più».
Come lei tante giovani cinesi: inspiegabilmente, vi­sto che in Italia vige una legge che regolamenta pro­prio l’interruzione di gravidanza, «ma soprattutto che in Italia abbiamo una normativa per le donne immi­grate che tutela la maternità come in nessun’altra parte del mondo», dice la dottoressa Fausta Gramel­lini, ginecologa all’Ospedale dei Bambini 'Buzzi' di Milano. Una posizione 'privilegiata' quella del Buz­zi, a pochi passi da via Paolo Sarpi, la Chinatown mi­lanese, e comunque inserito in un contesto multiet­nico, tra quartieri di maghrebini e orientali. «Se le stra­niere hanno il permesso di soggiorno ovviamente ri­cevono la stessa assistenza di qualsiasi donna italia­na - spiega la ginecologa - , ma anche quelle irregola­ri che aspettano un figlio non hanno nulla da teme­re, grazie alle leggi dello Stato italiano, perché prima di tutto viene la tutela della vita». Basta che abbiano un documento di identità da mostrare e, per tutto il periodo della gravidanza, ricevono cure e assistenza gratuite, oltre a un permesso di soggiorno tempora­neo.
Deve sembrare un vero miracolo a donne che vivo­no spesso tra degrado e discriminazione, che pro­vengono dalle campagne della Cina più arretrata, che spesso sono analfabete, e soprattutto che nel loro Paese non godono di alcuna tutela sanitaria: in Cina tutto è a pagamento, o te lo puoi permettere o nien­te. Un miracolo italiano, dunque. Ma il fatto è che di questo 'miracolo' troppo spesso le donne cinesi (e non solo) non ne sanno nulla, così decidono di disfarsi di un figlio che altrimenti avrebbero tenuto, e si affi­dano alle 'mammane', agli ambulatori clandestini, ai ferri da tortura. «Per questo il professor Umberto Nicolini, da sempre sensibile alla tutela delle gravi­danze, ha fortemente voluto la mediazione cultura- le», continua la dottoressa Gramellini. Nicolini, re­sponsabile di ostetricia e ginecologia, scomparso gio­vane un mese fa, ha lasciato una grande eredità al Buzzi: dal 2000 nell’ospedale funziona un servizio di mediazione culturale rivolto a decine di etnie, con un’attenzione particolare proprio alle madri cinesi, le più fragili e indifese. Ogni giovedì e venerdì negli am­bulatori di ostetricia e ginecologia Su Ping, 38 anni, da 15 in Italia, mediatrice culturale, accoglie, tradu­ce, spiega in cinese alle giovani madri l’iter burocra­tico, i diritti, ma anche le regole sanitarie per la gra­vidanza: «Chiaro che per loro venire in ospedale e tro­vare una persona cinese, che ti capisce, ti indica gli e­sami da fare, i comportamenti da tenere, significa po­tersi affidare - spiega Su Ping - e accogliere la gravi­danza come una cosa positiva. Per tutte le madri del mondo la nascita di un figlio è una bella notizia, se le si mette nella giusta condizione».
Non hanno aspettato che venissero da sole a cercare il 'miracolo': «Siamo andati noi a bussare all’Asso­ciazione donne cinesi specie per venire incontro a quelle irregolari, le più destinate ai luoghi di macello e ad abortire - aggiunge Antonella A., l’assistente so­ciale - . Ora sanno che esiste la possibilità di tenere il proprio bambino», e se proprio sono decise ad abor­tire almeno lo possono fare rispettando la legge 194. Non è un caso se dal 2000 ad oggi al Buzzi i parti di tutte le immigrate sono balzati al 20% del totale, e di queste ben il 5% sono cinesi. Cinesi che hanno det­to no a 'medici' e 'ambulatori' clandestini per affi­dare la propria salute e quella del bambino alla sanità italiana. «Ormai grazie al passaparola sanno di que­sto servizio e vengono da tutta Italia, soprattutto dal­la Toscana, visto che a Prato vive una foltissima co­munità », nota Su Ping. «E molte così decidono di te­nere il bambino - sottolinea la dottoressa Gramellini -... poi magari lo mandano subito in Cina, ma alme­no è nato! E solo qui da noi siamo in grado di toglie­re la speciale spirale inamovibile che in Cina fanno mettere alle donne dopo il primo figlio perché non ne nasca mai un secondo: in Italia sono libere e ce lo chiedono». Poco importa che un giorno, quando de­cideranno di rientrare in patria, pagheranno 10mila euro di multa per ogni figlio messo al mondo. Ogni mese nell’ambulatorio di ostetricia oltre un centinaio di donne cinesi attende la visita medica. E l’aiuto di Su Ping.

© Copyright Avvenire, 22 febbraio 2008

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