17 settembre 2007
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E il prete disse: «Ite, missa est»
Léon Bertoletti
Età incredibilmente bassa a Padova nella domenica che ha segnato il ritorno alla messa in latino. Nella chiesa di San Canziano, a cinque minuti dal Duomo, il rito tradizionale è ormai da anni un'abitudine. Da ieri, però il clima è cambiato. Quasi fosse una prova, l'età media era incredibilmente bassa tra i devoti che riempivano la chiesetta. Le due ultime file di banchi erano occupati da fedeli under 30.
Le prime parole del parroco sono state per il pontefice: «Ringraziamo il Papa che ci ha consentito di tornare a celebrare liberamente questa messa».
«In nomine Patris». Sono le 11 in punto quando nella centralissima chiesa di San Canziano, cinque minuti a piedi dal Duomo di Padova, un anziano sacerdote inizia a celebrare la prima messa in latino consentita da papa Ratzinger. La lingua che ha accompagnato secoli di cattolicesimo risuona nel tempio da anni, ogni santa domenica. Nessuna novità, da questo punto di vista. Adesso, però, il clima è cambiato. Benedetto XVI, con un provvedimento firmato il 7 luglio scorso, ha dato piena legittimità all'antico rito ordinato dal predecessore Pio V (e aggiustato da Giovanni XXIII). Non si pensa più, dunque, di vivere una liturgia nostalgica, una celebrazione per cristiani incartapecoriti che non hanno digerito il concilio Vaticano II. È, piuttosto, un ritorno al futuro. Quasi fosse una prova, tra i devoti che riempiono la chiesetta l'età media è incredibilmente bassa. Le ultime due file di banchi sono occupate da fedeli under 30.
L'atmosfera è composta e tutto profuma di antico. Manca l'organista, ma potrebbe sbizzarrirsi sulla tastiera. Assolutamente non c'è spazio, invece, per chitarre e tamburelli. I preti non possono modificare a proprio piacere le formule del messale, come consentito dalle regole post Concilio. Devono compiere gesti sobri e misurati. Mentre ai fedeli è richiesta più concentrazione che attenzione. Meditano e pregano. Ogni tanto rispondono agli inviti del prete. Ma non così tanto come nella messa riformata. Quando suona la campanella, il celebrante sbuca dalla sacrestia, a passo lento, e si ferma giù dagli scalini. Sopra il camice bianco, indossa una pianeta verde con ricami in oro: un paramento liturgico che appare più elegante delle moderne casule. Sul braccio sinistro gli pende una piccola stola. Ai piedi dell'altare, il sacerdote recita l'Introito, facendosi il segno della croce. È la prima parte della celebrazione. Poi sale e si inchina per baciare la sacra mensa. Seguono la lettura di un brano di San Paolo e il Vangelo. A questo punto i vocaboli latini lasciano spazio all'italiano, perché è il momento dell'Istruzione (in pratica l' antenata dell'omelia). «Ringraziamo il Papa che ci ha consentito di tornare a dire liberamente questa messa», sono le prime parole del celebrante dopo essersi avvicinato al leggio e aver indossato il tricorno: l'originale cappello ecclesiastico a tre spicchi che ormai si vede soltanto nei film di don Camillo.
«Speriamo - prosegue il ministro del culto - che tutti i vescovi accolgano l'invito del sommo pontefice e consentano a sacerdoti e fedeli di rinnovare questa tradizione». Dopo l'istruzione arriva l'offertorio. Poi la consacrazione, che è il momento più suggestivo. Chi celebra guarda Dio e non il popolo. Sussurra parole incomprensibili, mentre alza la patena e il calice. Parla sottovoce, senza farsi capire, mentre i fedeli stanno in silenzio, inginocchiati. Anche la comunione si riceve in ginocchio, alla balaustra che delimita il presbiterio, e direttamente in bocca. Infine ci sono il ringraziamento e il congedo. Ite, missa est.
© Copyright Il Gazzettino del nordest, 17 settembre 2007
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4 commenti:
Ciao Raffaella, il presente post solo per segnalarti questo articolo di Tornielli molto interessante. http://blog.ilgiornale.it/tornielli/2007/09/17/bagnasco-alla-cei-parla-del-motu-proprio/#comment-1976
Grazie Gianpaolo...provvedo subito :-)
Voglio intervenire per accentuare la responsabilità personale di ognuno di noi, cattolico e cristiano praticante. Sul Motu non devono e non possono eserci devianze: nè di vescovi nè d'altri.Citerò dal Magistero del Papa per dare fondamento.
1)Non si vuole il Motu ?(ma vale per qualsiasi Atto Magisteriale)
Risposta del Magistero:
"E' quindi un preciso dovere di chi crede alla Chiesa dell'amore e vuol vivere in essa, riconoscere anche questo pericolo e accettare che non è possibile poi la comunione con chi si è allontanato dalla dottrina della salvezza"
2)Il Motu è Tradizione? E' stato ed è parte della Chiesa?
Risp. Mag.:
"La Tradizione è il fiume vivo che ci collega alle origini"
3)Va accettato il Motu? Possiamo scegliere: o sì o no, però...
Risp. Mag.
"E' la grande alternativa, che anche noi dobbiamo sempre imparare di nuovo: privilegiare le proprie attese respingendo Gesù o accogliere Gesù nella verità della sua missione e accantonare le attese troppo umane"
4)Che dire a coloro che amareggiano la Chiesa e quindi Cristo reggitore?
Risp. Mag.:
"Dio sceglie la via della trasformazione dei cuori nella sofferenza e nell'umiltà. E noi, come Pietro, sempre di nuovo dobbiamo convertirci".
"Preghiamo che il Primato di Pietro, affidato a povere persone umane, possa sempre essere esercitato in questo senso originario voluto dal Signore, e possa così essere sempre più riconosciuto nel suo vero significato dai fratelli ancora non in piena comunione con noi".
Desidero segnalare anche l'articolo comparso sul Gazzettino del 14 settembre 2007 http://www.gazzettino.it/VisualizzaArticolo.php3?Luogo=Main&Codice=3505632&Data=2007-09-14&Pagina=11&Hilights=messa+latino
dove, tra l'altro, si segnalano negativamente le dichiarazioni di mons. Franco Frilli di Udine, che secondo il quotidiano rispecchierebbero l'attitudine negativa verso il Motu proprio della Curia arcivescovile udinese. Un dato interessante: anche mons. Raffaele Nogaro, il vescovo di Caserta che ha impedito l'applicazione del Motu proprio, proviene dall'arcidiocesi di Udine.
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